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I ceramografi attici rappresentavano le parole con le lettere che uscivano dalla bocca dei parlanti in ordine di pronuncia |
Il lessico è una chiave di accesso alla cultura, al pensiero e alla visione del mondo di una società. Le parole non si limitano a designare oggetti o azioni, ma incorporano stratificazioni di significati, riflessi di concezioni religiose, filosofiche e scientifiche.
Ogni lingua organizza l’esperienza in modi specifici, creando distinzioni che possono non esistere altrove. Comprendere il lessico di una cultura significa dunque entrare nel suo sistema di pensiero, nei suoi schemi interpretativi, nelle sue priorità concettuali.
Questa rubrica si propone - attraverso set di flashcards - di esplorare il significato profondo delle parole, di indagarne le sfumature e il ruolo che esse hanno avuto nel plasmare idee e narrazioni. Perché conoscere le parole significa comprendere il modo in cui, nel tempo, abbiamo dato senso alla realtà.
Un metodo efficace per interiorizzare il lessico di una lingua, antica o moderna, è l’uso delle flash cards. Questa tecnica, basata sulla ripetizione attiva e sull’alternanza di stimolo e risposta, consente di fissare le parole nella memoria a lungo termine, facilitandone il richiamo. L’associazione tra parola e definizione, immagine o contesto d’uso aiuta a stabilire collegamenti più solidi, rendendo il processo di apprendimento meno meccanico e più intuitivo. Le flash cards sono particolarmente utili per il lessico specialistico, come quello delle lingue antiche, poiché permettono di esercitarsi gradualmente e di rafforzare le connessioni tra i termini e i loro significati.
Nelle flashcards di oggi si esplora il lessico del "sogno". La letteratura greca è piena di sogni: premonitori, simbolici, mise en abyme come i sogni tragici.
Come si dice "sogno"?
Sogno in greco è ὄναρ, neutro oppure ὄνειρος, maschile. Secondo una teoria che risale al linguista Antoine Meillet il maschile designerebbe il sogno come forza personificata e attiva, mentre il neutro farebbe riferimento all'evento. Dai due temi è nata pure una flessione eteroclita ὄναρ, ὀνείρατος. Secondo Benveniste, p. 313: "Bisogna qui ricordare la distinzione omerica tra l'ónar, il sogno che può essere solo un'illusione e il "buon húpar, che si realizzerà" (XIX 547). I sogni hanno una realtà nel loro ordine proprio, indipendente dalla realtà umana. È all'interno di questo ordine onirico che bisogna stabilire il rapporto tra le due varietà di sogni: i primi (trascuriamo qui i giochi di assonanza del testo greco) entrano da porte d'avorio, deludono "portando parole akráanta"; gli altri entrano da porte di corno, danno la sanzione della realizzazione (kraínousi) a cose vere (étuma). Il potere sovrano dei sogni è la condizione della loro verità, già acquisita, sensibile all'indovino solo, e che l'evento umano si incaricherà di confermare. Cosí i due aggettivi si rispondono: akráanta designa le cose che non avranno esecuzione, in opposizione a étuma, le cose che si riveleranno vere".
Ed ecco come descrive l'esperienza onirica Eric Dodds, in I greci e l'irrazionale (pp. 151-152):
"I poeti omerici, in quasi tutte le loro descrizioni di sogni, trattano le cose vedute come "realtà oggettiva". Di solito il sogno assume la forma di una visita resa a un dormiente da una sola figura onirica (la parola stessa oneiros in Omero significa quasi sempre figura, non esperienza onirica). Questa figura onirica può essere un dio, uno spettro, un messaggero onirico preesistente o un'immagine" (eidōlon) creata per l'occasione; però, quale che sia, esiste oggettivamente nello spazio ed è indipendente dal sognatore. Entra dal buco della serratura (le camere da letto omeriche non hanno finestre né camino); si pianta a capo del letto per comunicare il suo messaggio, e fatto questo si ritira per la stessa strada. Il sognatore intanto è quasi sempre completamente passivo: vede una figura, ode una voce, e questo è tutto; è vero che talvolta risponde nel sonno, e una volta tende le braccia per abbracciare la figura onirica, ma questi sono gesti fisici oggettivi, che si vedono fare ai dormienti. Il sognatore sa di trovarsi nel suo letto e non altrove, anzi sa di essere addormentato, poiché la figura onirica ha cura di farglielo notare: "Tu dormi, Atride", dice il sogno cattivo nel II libro dell'Iliade; "Tu dormi, Achille", dice lo spettro di Patroclo; "Tu dormi, Penelope", dice l'immagine evanescente" dell'Odissea.
(...) in ogni epoca i Greci quando descrivono un qualunque tipo di sogno, si servono di un linguaggio che sembra suggerito da sogni in cui il sognatore riceve passivamente una visione oggettiva. I Greci non parlavano mai di avere o fare un sogno, ma sempre di vederlo: ὄναρ ἰδεῖν, ἐνύπνιον ἰδεῖν. Questa espressione si adatta soltanto a sogni di tipo passivo, ma la troviamo anche quando il sognatore stesso è la figura centrale dell'azione sognata. Ancora: non solo si dice che il sogno "visita" il sognatore (φοιτᾶν, ἐπισκοπεῖν, προσελθεῖν ecc.), ma anche che gli "sta sopra” (ἐπιστῆναι). Quest'ultima espressione è particolarmente frequente in Erodoto, ove è stata presa per una reminiscenza dell'omerico στῆ δ᾽ ἄρ᾽ ὑπὲρ κεφαλῆς "stava sopra la sua testa";1" ma il fatto che l'espressione rit corra nelle cronache dei templi di Epidauro e di Lindo, e in moltissimi autori posteriori, da Isocrate agli Atti degli Apostoli difficilmente può essere spiegato in questo modo. Sembrerebbe che il sogno che si concretizza in un oggetto o in una visione avesse affondato radici profonde non solo nella tradizione letteraria, ma anche nell'immaginazione popolare."
Ecco un modo per esercitarsi: