[segue da Da Yentl alla psicoanalisi] Una delle radici bibliche della psicoanalisi è individuata da Recalcati nel concetto di "desiderio" che si oppone alla concezione ritualistico-cultuale della fede imperniata sul sacrificio. L'uomo religioso non accede alla salvezza: è il messaggio di Gesù. Egli ha mancato al suo compito che è la realizzazione della vita, il suo dispiegamento generativo, il godimento pieno, lo spendersi senza riserve. La vera colpa è dunque - nella predicazione di Gesù - la difesa strenua della propria vita, l'attitudine securitaria, la paura della perdita che si trasforma in impotenza. Il servo che seppellisce il suo talento, nella nota parabola, tradisce il suo desiderio. In termini psicoanalitici il servo confonde impossibilità con impotenza. Fra le "malattie" del desiderio c'è anche l'utopia, che differendo la realizzazione della vita e la pone sotto il segno del risarcimento illimitato: l'attesa religiosa rende il mondo sterile.
L'antagonista della Vita è la Legge, con le sue pretese razionalistiche e il peso del sacrificio che richiede. La Legge che comprime e fustiga con severità inaudita il desiderio. È questo - dice Recalcati - il funzionamento del Super-io: una legge che sanziona continuamente e con durezza il desiderio, godendo masochisticamente.
Ma la Legge non è necessariamente sacrificio: anzi, non lo è affatto. Quella sacrificale è una tentazione idolatrica: nell'Antico Testamento - argomenta Recalcati - la Legge è declinata in tutt'altro modo - come principio di separazione, come principio dell'impossibile, come principio dell'interruzione della stessa Legge - a sostegno del desiderio.
Il discorso sul desiderio porta naturalmente al desiderio dell'Altro - non c'è desiderio in solitudine - e alla "chiamata" dall'Alto che impone una decisione (se seguire la chiamata). È quello che accade nell'esperienza dell'analisi: la trasformazione del soggetto avviene attraverso l'ascolto della parola che viene dall'inconscio. Non c'è guarigione nell'analisi, ma ripristino dell'alleanza del soggetto col suo inconscio.
Poste queste basi, Recalcati analizza altre radici cristiane della psicoanalisi: il miracolo dell'alzarsi/mettersi in movimento, le idee di maternità e filiazione, il rapporto maestro-discepolo, l'abbandono/assenza dell'altro, il messaggio del sogno (più problematica appare ai miei occhi l'interpretazione della risurrezione come radice della pratica analitica)
Ora, pur restando un non detto, sembra evidente che la figura di Gesù - come maestro, come colui che mette ciascuno in contatto con la chiamata del suo desiderio - presenta forti analogie con la figura e la funzione dell'analista. Tutto il libro è percorso da questa analogia per così dire criptata, occulta. Questo - se fondato - ha due conseguenze: da un lato spiega, a mio avviso meglio della spiegazione che ne dà Recalcati, il fraintendimento piuttosto comune del messaggio gesuano (che ben pochi intendono come chiamata del desiderio!). La predicazione di Gesù e tutta all'interno dell'ebraismo. Ed è nell'ebraismo del Secondo Tempio e non altrove che la Legge ha assunto il significato mortifero e la religione il carattere casuistico che Gesù vuole smantellare. I Gentili - ai quali infatti si fu in dubbio nella prima comunità cristiana se estendere la Buona Novella - permeati di cultura greco-romana, non potevano cogliere pienamente il valore del richiamo alla Legge del desiderio, non avendo sperimentato la sua (del desiderio) compressione e mortificazione ad opera della Legge. Il messaggio era rivolto agli Ebrei osservanti e religiosi, i soli in grado di capirlo.
Ma anche i soli che avessero necessità di capirlo.
A questo punto le strade sono due: o le malattie del desiderio sono universali, pertinenti all'uomo in quanto tale, necessarie, o esse sono storiche e contingenti, pertinenti all'ebraismo del Secondo Tempio, come si è configurato per ragioni storiche. Allora nell'ebraismo si annuncia una verità di più ampia portata? Valida per i Gentili? di ieri e di oggi? In un caso e nell'altro è un lavoro di estrazione della psicoanalisi dalle sue radici che può rendere fondate e chiarificare le premesse poste da Recalcati. Questa estrazione è necessaria anche ai fini di recuperare l'aspetto diacronico, che è totalmente assente nella sua ricostruzione: la storia, insomma, dei popoli e dei singoli, che spiega il cedere al godimento masochistico del sacrificio, il costituirsi delle pulsioni securitarie, il rifugio nel culto ritualistico, la chiusura all'Altro e il "no" alla chiamata. L'esperienza della crisi, della minaccia, dell'annientamento che produce (può produrre) la sclerotizzazione che Gesù cerca di combattere.
Torno quindi ad Assman, La memoria culturale, che questo processo lo ha messo bene in evidenza: una cultura risponde alla sfida - dell'annientamento, dell'assimilazione - non col caos ma fortificandosi in senso limitico, diventando "religione". Il libro del Deuteronomio è per Assmann "il documento costituente di un movimento di resistenza etnica", di distinzione e resistenza mediante la sacralizzazione dell’identità.
Questo processo avviene anche in Egitto. Durante l'età persiana - il dominio straniero su uno 'stato' da millenni esente da contatti violenti con altri popoli, l’Egitto si sente per la prima volta minacciato culturalmente e politicamente: contro questa minaccia - bene reale e concreta! - deve allora mobilitare le sue forze. Assmann legge in questo senso il grandioso programma edilizio messo in opera dal re Nectabo poi proseguito dai Tolomei. Viene infatti edificato un gran numero di templi, tutti con la stessa pianta, tutti delimitati da alte mura, tutti coperti da iscrizioni, tutti con l'intento di codificare la tradizione in forma monumentale. Contro il rischio dell'inforestierimento l'ossessiva moltiplicazione dei rituali, delle immagini e degli scritti sacri, la costruzione di un modello di vita governata dall’ortoprassia. All’interno del tempio si vive secondo rigide prescrizioni di purezza. L’Egitto dell'età tarda si autopercepisce come un paese sacro, il paese sacrosanto, il tempio del mondo intero.
Analogamente, Israele crea una religione che ne permette la sopravvivenza all'assimilazione.
Questa idea della religione come 'muro di ferro' comporta la sacralizzazione della vita sul piano dell’ortoprassia, fissata in divieti e comandamenti che rendono palese la distinzione (e la seclusione) rispetto all'Altro, la peculiarità e l'identità in senso enfatico.
Che cosa la rende necessaria? Assmann identifica diverse tappe decisive, che sono altrettanti eventi traumatici di perdita e annientamento:
- Il crollo del regno settentrionale nel 722 e la deportazione delle 10 tribù di Israele
- La nascita sotto la crescente pressione assira della profezia di sciagura dell’opposizione religiosa culminante nel ritrovamento del libro sotto Giosia nel 621 a.C.
- La distruzione del Tempio nel 587 a.C.
- La deportazione e l’esilio e il ritorno dei reduci nel 537 a.C.
- L’affermarsi della religione deuteronomistica sotto i Persiani
- La resistenza contro l’ellenizzazione e le guerre dei Maccabei,
- La resistenza contro Roma (il periodo della predicazione diGesù) e la distruzione del Secondo Tempio nel 70 d.C.
Allora possiamo chiederci: qual è l'analogon nella storia dei singoli dell'urto - che questa lista esemplifica - fra i popoli e il potere imperiale che ne ha annientato le culture? Il trauma a cui l'individuo risponde con la fortificazione limitica/ortoprassia?
Ma anche: è possibile un riallineamento alla chiamata o riequilibrio del soggetto rispetto al suo inconscio indipendentemente da ciò che - fuori dal soggetto - ne ha frantumato l'identità?
Ho acquistato La legge della parola speranzosa di trovarvi la risposta
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