lunedì 27 gennaio 2025

Città dolenti (o dell'antisemitismo antico)

L’immaginario umano produce dei corti-circuiti. 

Uno dei più notevoli è quello che fa collidere l’idea di città con quella di inferno. Città infernali. Dante immagina, all’interno dell’abisso infernale, una città: la città di Dite, protetta da mura ferrigne, turrita, chiusa da porte e circondata da una palude. Città di peccatori - a loro modo città infernali - sono nella Bibbia Sodoma e Gomorra, distrutte da Dio per i loro peccati. Infernale è la Manhattan di 1997: Fuga da New York: carcere di massima sicurezza a cielo aperto da cui il criminale Jena Plissken deve recuperare il Presidente degli Stati Uniti, finito lì dopo il dirottamento del suo aereo. 



C'è di più: quando nei primi mesi del 1942 i capi nazisti si riuniscono sulle sponde del lago Wannsee, a pochi chilometri da Berlino per discutere della “soluzione finale” - ma in realtà per presentare una soluzione già decisa dalle SS e in fase di preparazione - non sanno fino a che punto sono eredi di una lunghissima tradizione.  Auschwitz, naturalmente (ma non solo). La città infernale. L'inferno in terra, l'inferno-città.

Facciamo un salto indietro per considerare una serie di stranissimi racconti: nell’accingersi a narrare la guerra di Pompeo contro i Giudei, lo storico greco Diodoro ritiene opportuno esporre per sommi capi una trattazione circa le origini del popolo giudaico. L’excursus si caratterizza per il fatto di considerare la fondazione di Gerusalemme come un episodio della storia dell’Egitto, luogo da cui sarebbero – secondo Diodoro – partiti i coloni fondatori della illustre città.

Il racconto ha inizio con un periodo di calamità: un’epidemia infuria in Egitto. Gli Egizi giungono alla conclusione che gli déi sono adirati a causa dei molti forestieri che vi risiedono e hanno introdotto culti e costumi stranieri. Decidono dunque di cacciarli. Gli espulsi fondano colonie, parte in Grecia, sotto la guida di Danao e Cadmo; parte in Palestina, guidati da Mosè, fondatore e legislatore della colonia di Gerusalemme. 

Lo stesso racconto, con alcune varianti, esiste in molte altre versioni. 

Vediamo alcuni di questi racconti: In Manetone, apud Ioseph. I 228-52 troviamo questo racconto: il re egizio Amenophis volle un giorno vedere gli dèi, come era stato concesso al suo predecessore. Su consiglio di un saggio, fa radunare nel deserto ottocentomila lebbrosi, fra cui anche sacerdoti, presenti nel paese e li sottopone ai lavori forzati nelle cave di pietra. Il saggio è però assalito da una visione di sventura e teme l’ira degli dèi: annota la sua profezia e si uccide. I lebbrosi ottengono di potere istituire una colonia ad Avari, l’antica capitale degli Hyksos ed eleggono come capo un sacerdote di nome Osarsiph. Costui dà loro delle leggi che prescrivono tutto ciò che in Egitto è vietato, e vietano ciò che in Egitto è prescritto: gli dèi non devono essere venerati, i tabù alimentari non devono essere rispettati, non biso- gna avere alcun rapporto con chi non appartiene al gruppo. La città viene fortificata e gli Hyksos, che avevano in precedenza dominato sull’Egitto e ne erano stati scacciati, vengono invitati a partecipare ad una sollevazione. Gli Hyksos ritornano. Il faraone si ricorda della profezia e fugge in Etiopia. I lebbrosi e gli Hyksos dominano l’Egitto: i templi sono distrutti, i santuari trasformati in cucine dove si arrostiscono animali sacri. Infine Amenofi ritorna e caccia i ribelli. 

Andiamo a Strabone, il geografo: secondo Strabone un sacerdote egizio di nome Mosè decide di abbandonare il paese perché insoddisfatto della sua religione ed emigra in Giudea con un folto stuolo di simpatizzanti. Egli rifiuta la tradizione egizia che raffigura gli dèi in forma di animali e riconosce che Dio è un essere unico non riproducibile da nessuna immagine. 

Anche per Lisimaco, anch’egli citato da Giuseppe Flavio, autore di un racconto particolarmente polemico, redatto non prima del IV sec. a. C. il racconto inizia con una carestia. Un oracolo ordina al re Boccori di purificare i templi dalle persone «impure ed empie». Il riferimento è agli Ebrei, i quali, colpiti dalla lebbra e da altre malattie, avevano trovato rifugio nei templi. Boccori ordina di annegare i lebbrosi e scacciare gli altri nel deserto. Un certo Mosè si preoccupa di organizzare gli esuli secondo i dettami di una contro-religione, li conduce fuori dal paese e ordina loro di non essere benevoli con nessuno e di distruggere tutti i templi e gli altari.

La malattia, in un caso epidemia nell’altro carestia, fa tutt’uno in questi racconti con l’assenza degli dei. Gli dèi sono distanti, adirati: ed è il corpo degli uomini (la pelle soprattutto) a risentirne.

Una versione un po’ differente è in Cheremone, precettore di Nerone, vissuto ad Alessandria nella prima metà del I sec. d.C. La situazione di partenza è qui una rivelazione della dea Iside, che appare in sogno ad Amenophi e lo rimprovera per aver distrutto un tempio. Lo scriba e sacerdote Phiribantes lo consiglia di placare la dea ripulendo l’Egitto dai lebbrosi. Il re dunque raduna i lebbrosi in numero di duecentocinquantamila e li bandisce dal paese. Essi si radunano sotto la guida di Mosè e Giuseppe (Tisithen e Peteseph): a loro si uniscono altri emigranti a cui Amenophi aveva negato l’uscita dal paese. Gli espulsi si danno una legislazione ispirata ai dettami di una contro religione e, insieme agli emigranti, conquistano l’Egitto costringendo il Re a fuggire in Nubia. Il successore Ramses riesce a cacciare i ribelli e a rimpossessarsi del paese.

Infine, la versione più polemica di tale leggenda si trova nelle Historiae di Tacito. Anche qui la situazione di partenza è costituita da un’epidemia che infuria in Egitto e causa malformazioni fisiche: il re Boccori consulta l’oracolo e apprende che deve purificare il paese e mandare in altre terre gli Ebrei, razza invisa agli dèi. Gli Ebrei vengono cacciati nel deserto. Mosè li organizza secondo i dettami di una contro-religione e li conduce in Palestina dove fonda Gerusalemme. 

Che significano questi racconti? Jan Assmann che li ha analizzati in Mose, l'egizio, ha evidenziato come vi sia sotteso un medesimo schema generale (che diverge leggermente nel racconto diodoreo):

1. Situazione di partenza: una mancanza (un contagio);

2. Misure per porre rimedio alla situazione = concentramento dei portatori di contagio;

3. Organizzazione sotto un capo, legislazione.

A questo punto, i racconti convergono su un particolare: i separati si dànno leggi e costumi che sono l’inverso di quelli ‘normali’: in particolare, la loro religione si configura come una contro-religione; per questo vengono cacciati.

Questo schema, a ben guardare, non è se non l’inverso dello schema dei riti di iniziazione: in questi ultimi si tratta di integrare le persone nella città, in quelli di allontanare una parte della popolazione dalla città: l’ultimo momento del processo infatti vede l’allontanamento definitivo di un gruppo di individui. 

Parliamo di allontanamento, ma potremmo parlare di ordalìa: gli allontanati infatti non possono ritornare, vengono abbandonati in condizioni di estrema difficoltà, in cui molto probabilmente non sopravviveranno.

Per sanare una mancanza, dicono questi racconti, occorre separare, dividere, isolare. Ma ciò che è stato separato può dare origine ad una “contro-comunità”, ad una inversione normativa: tutto ciò che prima era proibito ora è prescritto e viceversa. Tale inversione normativa riguarda in primo luogo la religione: la nuova comunità sembra portatrice di valori religiosi specularmente antitetici rispetto a quelli vigenti e di una aperta e talora violenta ostilità nei confronti dei vecchi valori e delle vecchie pratiche. La fondazione avviene sotto il segno della negazione e dell’inversione: un gruppo si isola capovolgendo i valori altrui e proibendo il contatto con l’altro da sé. 

Anti-città. 

A conferma della propria identità “negativa”, vengono accolti coloro che nell’ordine precedente erano identificati come “nemici”: ad Avari ritornano gli Hyksos. 

La memoria mosaica extra-biblica rientra dunque in una serie di miti e di riti, studiati dagli antropologi, che inscenano la rinuncia coatta alla vitalità da parte di un segmento “malato” della popolazione affinché la parte sana possa essere rivitalizzata. Ma il consenso sulla discriminante può non essere totale, così come la parte dichiarata malata può invece sentirsi sana e reputare malato il corpo da cui si stacca: individui o gruppi espulsi ritualmente possono fondare spazi politici rivendicando una propria “contro-identità”. 

I vari momenti dello schema anti-integrativo sono talora scambiabili, secondo l'ottica da cui la leggenda è narrata: la contro-religione ora  è conseguenza della segregazione, ora ne è causa; preesistente alle necessità della separazione e anzi criterio per operarla. Una fondazione può essere il luogo inospitale e remoto dell’esilio forzato o la ‘terra promessa’ di un gruppo di innovatori o di rivoluzionari.



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