giovedì 5 giugno 2025

Abiti di scena nell'Odissea: vestiti, stracci e cambi d'abito vari di Odisseo

Cratere del Pittore di Persefone
Cratere del Pittore di Persefone, al MET, con varietà di abiti maschili e femminili

L’Odissea è un poema disseminato di vesti: ogni figura femminile - Calipso, Nausicaa, Circe, Penelope - ha ovviamente abiti e ornamenti convenienti, di altri personaggi è minuziosamente descritto l'abbigliamento, ma sorprendentemente è Odisseo a sfoggiare una gran quantità di 'outfit'. Chi viene dalla lettura dell'Iliade, in cui ci si veste e ci si spoglia quasi solo di armi - la scena della vestizione delle armi da parte dell'eroe è una delle cosiddette scene tipiche, di repertorio - può restarne sorpreso.

Perché  questa insistenza? 

Non si tratta di semplici dettagli descrittivi: ogni cambiamento nello stato di Odisseo è accompagnato da un cambio di abito. Questo schema, messo in evidenza in un articolo di qualche anno fa da Pietro Giammellaro (Coperto di misere vesti. Forme del vestire e codici di comportamento nel racconto omerico di Odisseo mendicante) è particolarmente evidente a partire dal libro V, e costruisce un filo nascosto che attraversa tutto il poema. Quando Odisseo lascia l'isola di Calipso, la dea lo riveste con vesti profumate, quasi cerimoniali: un addio che sembra un rito di sepoltura, un allontanamento dalla vita divina per rientrare, mortalmente, nella storia. Ma è Ino-Leucotea a suggerirgli di togliere quelle vesti, perché lo appesantiscono e rischiano di farlo annegare: il corpo, per salvarsi, deve spogliarsi dei doni. Riceve invece un velo, un oggetto minimo, che non copre ma protegge. 

È il primo oggetto non-identitario che consente a Odisseo di proseguire: Odisseo lo accetta dopo qualche riluttanza. 

Arrivato a Scheria, Odisseo è nudo. Non ha più nulla: né abiti, né nome, né titolo. Si presenta a Nausicaa come supplice, e la richiesta che fa è precisa: cibo, riparo, e vesti. Lì inizia un nuovo ciclo. Il dono degli abiti è il primo atto della sua reintegrazione nella parola e nella comunità. Ma sono abiti non propri, abiti da ospite.

Da quel momento, l'abito diventa sempre più centrale nella narrazione. Quando torna a Itaca, Odisseo viene trasformato da Atena: la dea gli indurisce la pelle, gli leva i capelli, gli toglie lo sguardo. Lo veste con cenci sudici, pelli spelacchiate, una bisaccia rotta. L'eroe deve svanire nella scena, per poterla osservare. Non è un inganno, ma una posizione. E proprio in quel travestimento affronta il mendicante-rivale Iro, assiste alla scena dei Proci, si fa riconoscere lentamente.

Compiuta la strage, Odisseo chiede che gli siano portati zolfo e fuoco, per pulire e purificare la vasta sala dove dove è avvenuta la carneficina dei Proci. La nutrice Euriclea gli risponde: 

"Sì, questo, creatura mia, tu l'hai detto a proposito.

Però anche tunica e manto porterò, buone vesti,

che così tu non stia, coperto l'ampie spalle di stracci,

qui nella sala: vergogna sarebbe".

Ma Odisseo prende tempo: "prima il fuoco".

Così quando Penelope scende dalle sue stanze, avvertita che Odisseo è tornato, non lo riconosce ("perché son sporco, e brutte vesti ho sul corpo" spiega Odisseo al figlio). E così finalmente Odisseo si lava e si riveste condecentemente. 

Tuttavia, non è questo l'ultimo abito di Odisseo! Infatti, riconosciuto dalla moglie, riappropriatisi entrambi dei "diritti del letto", Odisseo veste le "armi belle" perché è da eroe e da guerriero che deve concludersi il suo viaggio con una battaglia iliadica fra la "casa" di Odisseo e i parenti degli uccisi. Odisseo, che aveva preferito l'astuzia e lo stratagemma al combattimento corpo a corpo, l'arco e le frecce alla corta spada e all'asta, deve stavolta combattere da eroe e da re. Finché Zeus non lo ferma.

Ricapitoliamo: tutti gli abiti fino a un certo punto sono doni: di Calipso, di Ino, dei Feaci, di Atena, di Penelope (che aveva fornito quelli della partenza). Non esiste un momento in cui Odisseo scelga da solo cosa indossare: è curioso... Il suo corpo è sempre allestito da altri. 

L’unico gesto di rifiuto è il gettare le vesti divine. 

E anche questo, per essere compiuto, ha bisogno di un suggerimento esterno. L’abito è sempre linguaggio: altrui o proprio.

Le vesti offerte da Calipso, profumate e solenni, segnano un rito di passaggio dalla condizione divina alla condizione umana. Subito dopo, quelle stesse vesti diventano un ostacolo: nella tempesta mandata da Poseidone, sono proprio gli abiti a rischiare di ucciderlo, trasformandosi in zavorra. Il gesto di spogliarsi, suggerito da Ino, è il primo atto di autonomia: è necessario disfarsi di un’identità in prestito. Il velo ricevuto in cambio non definisce, non qualifica, ma sostiene: è un oggetto neutro, uno strumento di transizione.

La nudità, al momento dell’arrivo presso i Feaci, rappresenta la condizione zero: il naufragio dell'identità. Questo è confermato da molte altre scene di Odisseo fra i Feaci, che lo irridono: non sembra affatto un atleta, un mercante piuttosto, uno attento al guadagno, ignaro dello stile di vita aristocratico, del canto, della gara atletica, della guerra! 

Il travestimento, poi: un abito, sporco e degradato, per permettergli di agire in incognito nella sua stessa casa. Per mettere in scena il contrasto fra il falso re (i Pretendenti, scialacquatori e impudenti) e il vero re (Odisseo, il re di miseria, "coperto di misere vesti", ma anche Laerte, suo padre che si è lasciato andare per l'assenza del figlio e indossa una misera tunica). Un tema antico che percorre tutta l'ultima sezione del poema e che non sarebbe possibile esplorare senza il linguaggio dell'abito. 

Questa progressione dunque - dall’identità imposta all’identità scelta, attraverso il rifiuto, la nudità e il travestimento - è una delle strutture profonde del poema. 

E si gioca tutta sul corpo vestito, spogliato, travestito, rivestito.

Fino alla riappropriazione (ma forse meglio: costruzione) dell'identità: re e guerriero. In armi. 

(ma com'era vestito alla partenza? Penelope lo chiede al finto indovino - in realtà Odisseo stesso - come prova del fatto che egli abbia davvero conosciuto il marito. Ed ecco cosa risponde il finto indovino: 

"Un mantello purpureo, di lana, il chiaro Odisseo aveva,

doppio; e in esso gli era forgiato un fermaglio d’oro,

con doppia scanalatura, e v’era un cesello davanti:

nelle zampe anteriori, un cane teneva un cerbiatto screziato

e lo guardava dibattersi. E tutti ammiravano

come, pur essendo essi d’oro, l’uno cercasse di strozzare il cervo

e questo, bramando scappare, scalciasse coi piedi.

E notai la sua tunica, che sulla persona splendeva

come un velo di cipolla secca:

era delicata così, e come il sole era lucente")


Lessico essenziale dell'abbigliamento greco (omerico):

  • χιτών (chitōn): tunica, abito di base. Indossato da uomini e donne, era costituito da un telo quadrangolare, tagliato e cucito sul lato lungo e sulle spalle, con le maniche applicate o ricavate dall'ampiezza del telo; oppure pieghettato in modo da adattarsi al corpo. Si poteva indossare con o senza cintura. Era lungo fino ai piedi oppure più corto, specialmente per gli uomini

  • ἰμάτιον (imátion): mantello, spesso simbolo di status. Era un telo quadrangolare avvolto intorno al corpo in modo che un lembo ricadesse sulla schiena

  • πέπλος (peplos): drappo femminile. Era indossato solo dalle donne. Consisteva in un telo quadrangolare cucito lungo il lato lungo e ripiegato in modo da formare una balza, fermato sulle spalle con fibbie e spilloni

  • ζωνή (zōnē): cintura

  • σάνδαλον (sandalon): sandali. Erano il tipo di calzatura più comune, formata da una suola di cuoio fermata al piede con lacci o cinturini di varia foggia.

  • ἐσθής (esthes): veste, di tessuto prezioso, data in dono, delicata e lucente.

  • εἵματα (eimata): abiti, di qualsiasi foggia.

  • λώπη (lope): ampio mantello di pelle in forma di cappa (solo in Omero).

  • ϕαρος (pharos): sciarpa, stola di stoffa fine.

  • λαῖφος (laiphos): straccio, indumento dei mendicanti

  • ῥάκος (rakos): straccio, cencio, scampolo di stoffa

  • ῥόπαλον (ropalon): bastone del mendicante.

  • πήρη (pere): bisaccia.

Fonte: A. Perkidou-Gorecki, Come vestivano i Greci, Milano 1993.
Per approfondire: Department of Greek and Roman Art. “Ancient Greek Dress.” In Heilbrunn Timeline of Art History. New York: The Metropolitan Museum of Art, 2000–. http://www.metmuseum.org/toah/hd/grdr/hd_grdr.htm (October 2003)

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