Se l’eroe dell’Odissea è parso a molti, esegeti e semplici lettori, «eroe dai molti nomi, dalle molte fisionomie dalle molte identità, multiforme, ambiguo, duttile, imprevedibile, cangiante, non scolpito a grandi tratti, una volta per tutte»; Achille, l’eroe dell’Iliade, ha sempre suggerito l’idea della staticità, «eroe tutto d’un pezzo, compiuto in sé»: il suo profilo omerico parve a Milman Parry eminentemente tragico, nel suo isolamento e nella sua estraneità al mondo. Mille fittizie identità, e annessa raccolta di nomi, patrie, genealogie, peripezie, possono tuttavia denunciare una cieca ostinazione, una fedeltà talora inutile alla “via dell’inventiva”, alla riluttanza a dichiarare la propria identità: Odisseo mente al padre quando ormai la strage dei pretendenti è compiuta, e mente a Penelope quando sia Telemaco che Euriclea sanno chi egli sia; una traiettoria la sua, in definitiva, non meno rigida di quella con cui Achille avanza, nell’Iliade, verso il suo destino di morte. Odisseo può essere svelato e riconosciuto soltanto risalendo indietro nel tempo, al “letto inamovibile”, ai tredici peri, dieci meli e quaranta fichi ricevuti fanciullo dal padre, i segni certi della sua identità rispetto ai quali il resto è invenzione e varietà; Achille proietta la sua identità avanti nel futuro, nella esemplarità conclusa e rotonda del suo essere eroe. E tuttavia, in questo suo profilo scultoreo, Achille subisce più di una trasformazione e anzi almeno quattro sono i corpi, le pose – per restare al lessico scultoreo - con cui l’eroe dell’Iliade attraversa il poema della sua ira.
La prima è seduta:
(…) seduto presso le navi che vanno veloci, era irato
Il figlio divino di Peleo, Achille piede rapido.
Mai all’assemblea si recava, gloria degli uomini,
mai alla guerra; e consumava il suo cuore,
li fermo
(Iliade, I 488)
Il secondo corpo di Achille è dritto in piedi, eretto.
Achille caro a Zeus balzò in piedi; Atena intorno
alle spalle robuste gli gettò l’egida frangiata,
e intorno alla testa la dea gloriosa lo incoronò d’una nube
d’oro, fece uscire da lui una vampa splendente.
(Iliade, XVIII 203-206)
Come dobbiamo immaginare questo nuovo habitus? È la posa dei kouroi arcaici, dritti su entrambe le gambe, corpo e testa eretti verticalmente e rivolti all’osservatore? Non proprio.
Achille orto dice il testo omerico: «balzò in piedi» traduce Rosa Calzecchi Onesti. Il movimento rende visibile la forza del corpo, il suo sollevarsi con le proprie forze contro la forza di gravità: è qualcosa di simile, ante litteram, al “contrapposto” o alla “ponderazione” della statuaria severa e classica. Egli è disarmato, e tuttavia provoca una fortissima reazione emotiva negli astanti. Si tratta di una vera e propria “epifania”, propiziata da Atena: tutti, animali e uomini, lo vedono e sentono la sua voce «bronzea»:
A tutti balzò il cuore; ed ecco i cavalli dalle belle criniere
subito voltarono i carri; dolori previdero in cuore;
gli aurighi inebetirono, come videro il fuoco indomabile
tremendo, sopra la testa del Pelide magnanimo
ardente (…)
(Iliade, XVIII 223-227)
L’ultima immagine di Achille è armata, con l’asta paterna, grande, pesante, solida:
nessuno dei Danai poteva brandirla, solo Achille a brandirla valeva,
faggio del Pelio che Chirone aveva donato al suo padre,
dalla cima del Pelio, per dar morte ai guerrieri
(Iliade, XVI 141-144).
E con la panoplia fabbricata da Efesto. Così armato, Achille ha il chiarore della luna:
Come quando splende in mare ai naviganti il chiarore
d’un fuoco acceso, ch’arde in alto sui monti
in una stalla solinga; e i turbini loro malgrado
li portano sul mare pescoso, lontano dagli amici;
così saliva all’etere il lampo dallo scudo d’Achille;
bellissimo, adorno.
(Iliade, XIX 373-380)
A queste immagini dobbiamo aggiungerne una quarta, un guerriero che sembra Achille, indossa le sue armi – gli «schinieri belli, muniti d’argentei copricaviglia», «la corazza a vivi colori, stellata», «la spada a borchie d’argento, bronzea, e lo scudo grande e pesante», «l’elmo robusto, con coda equina» - ma non è Achille. Non appena i Troiani lo vedono, scintillante nelle armi:
A tutti il cuore fu scosso, le file si scompigliarono,
credendo che presso le navi il Pelide piede rapido
avesse smesso l’ira, ripresa l’amicizia.
Ciascuno spiava dove potesse fuggire l’abisso di morte
(Iliade, XVI 280-283)
Quattro corpi diversi dunque, quelli di Achille, che si dispongono sul crinale di una secca alternativa: vestire le armi o non vestirle; combattere o apparire ai combattenti; balzare in piedi o stare seduto; isolarsi o partecipare. Ma, anche, che sperimentano di ogni scelta due possibili varianti. Combattere: per interposta persona o in proprio nome; non mischiarsi agli altri: muto o urlando con voce sonora.
Fra questi quattro corpi il più interessante è il primo. Seduto.
Exekias, Achille e Aiace giocano a dadi, anfora da Vulci, 540-30 a.C., Museo Gregoriano Etrusco
È molto interessante osservare che, per illustrare il momento iliadico in cui Achille non combatte, i ceramografi lo dipingono intento a giocare a dadi, seduto. Il tema, ignoto all'epos, è un'invenzione dei ceramografi, che si staccano dal testo omerico ma restano fedeli alle sue intenzioni comunicative e ci restituiscono l'immagine del guerriero che non combatte, "inutile". Una variazione del mitologema del "re pescatore", un re ferito e impotente, al quale non resta che stare seduto su una barca dilettandosi con la pesca?
Rivolto a Patroclo, inviatogli da Achille per avere notizie sull’andamento della guerra, Nestore commenta il ritiro di Achille dalla guerra e afferma con asprezza che «egli solo trarrà utilità dal suo valore; eppure io
credo/che avrà da piangere molto, quando sia massacrato l’esercito» e lo stesso Patroclo, nel riferire le parole di Nestore vi aggiunge un’amara interrogazione: «in cosa un altro avrà utilità da te, anche un tardo nipote,/ se non difendi gli Argivi dalla rovina obbrobriosa?»
Morto Patroclo, Achille vede se stesso seduto presso le navi, come «inutile peso della terra», benché forte in guerra quanto nessun altro.
Ancora più eloquente è un'altra celebre iconografia di Achille seduto: una kylix del Pittore di Briseide illustra il momento in cui Achille è privato della schiava.
La scena raffigura la giovane nel momento in cui viene prelevata dalla tenda, mentre Achille seduto è avvolto da un mantello da cui sporgono appena gli occhi e la fronte dell’eroe. Lo stesso atteggiamento, seduto e avvolto dal mantello, è tenuto da Achille nell’episodio, illustrato da molti ceramografi, dell’ambasceria che gli Achei capeggiati da Odisseo inviano per convincerlo a riprendere la guerra, nel nono libro dell’Iliade. Nel cratere del Pittore di Eucharides, Achille e Odisseo sono seduti l’uno di fronte all’altro, con Achille piegato e imbacuccato. Questa iconografia di Achille, ammantato, con la testa reclinata e appoggiata alla mano è abbastanza comune in opere collocabili fra il 500 e il 470 a.C.
Da notare il mantello. In Omero non c'è traccia di ciò.
Il capo velato è comunemente associato alle donne: la fanciulla e la donna greca portano di regola il velo a coprire volto e capo, sebbene possano in talune situazioni toglierlo. Spesso la donna è mostrata nel gesto di velarsi o svelarsi, cosicché il velo femminile è legato al movimento, alla comunicazione: è luminoso, trasparente, per nulla opaco e, nella pittura vascolare è raramente statico. Anche gli uomini sono talvolta mostrati nel gesto di velarsi, per coprire il volto contratto dalla commozione e segnato dal pianto. In questi casi lo scopo è nascondere alla vista altrui la colpa e la vergogna.
Nascondere lo sguardo o nascondersi allo sguardo?
Se guardiamo alla serie di riferimenti a dolore, colpa, vergogna, commozione e alla serie di posture, seduti, con la testa appoggiata alla mano, avvolti nel mantello - elementi che nell'iconografia sono talvolta riuniti e talvolta no - è difficile trovare una corrispondenza biunivoca fra il gesto e il sentimento individuale; ma forse è possibile individuare una situazione comunicativa, che coinvolge la corporeità non dell’individuo singolo ma degli individui che comunicano, a cui quei gesti si riferiscono.
Achille appare ammantato in due episodi che hanno in comune la pertinenza al nucleo narrativo principale dell’Iliade - l’ira dell’eroe e il suo rifiuto della battaglia - in due momenti salienti: quello in cui essa ha inizio, con la contesa fra l’eroe e Agamennone e quello in cui è ormai irreversibile e Achille resta sordo alle argomentazioni di Odisseo. Dal punto di vista dei sentimenti di Achille si tratta, come ha notato Settis, di “ira” e “corruccio”, ma il mantello che avvolge l’eroe esprime qualcosa anche dal punto di vista della comunicazione, della interazione fra Achille e Agamennone e fra Achille e Odisseo.
Osserviamo per esempio la raffigurazione vascolare del confronto fra Achille e Odisseo, nel cratere di Eucharides.
Achille è avvolto in un mantello, la stoffa si dispone in giri e pieghe intorno al corpo dell’eroe, dalla testa giù fin quasi ai piedi, paralleli e poggiati a terra. Odisseo è nudo, il mantello aperto sul torace, le gambe accavallate, il ginocchio stretto dalle due mani. Il gesto di tenere le gambe accavallate può essere variamente interpretato: secondo Franzoni dall’età classica in poi potremmo comporre un doppio catalogo: quello delle gambe accavallate attribuite a figure ‘negative’, quello in cui lo stesso gesto è problematico o addirittura può assumere valenze positive. Come già per il gesto del velarsi, anche il gesto dell’accavallare le gambe non pare legarsi ad un preciso sentimento personale.
Invece di guardare alle due pose separatamente, consideriamo allora l’intera scena: la posa di Odisseo, dinamica, è l’opposto di quella di Achille, impedito nel movimento. Il mantello aperto dell’uno si chiude sull’altro e sembra quasi intrappolarlo. Lo stesso stare seduti è diverso: la posa di Odisseo suggerisce rilassatezza ma anche possibilità di movimento, i piedi sono liberi da impacci e lontani l’uno dall’altro, occupano porzioni diverse dello spazio. Ad Achille invece il movimento ampio e libero di Odisseo pare precluso, non è fisicamente possibile. I due eroi, benché condividano il medesimo spazio, sono estranei l’uno all’altro, per nessuno dei due è possibile comprendere l’altro, partecipare dei suoi movimenti. Sono reciprocamente invisibili.
Ma ciò che è davvero significativo è che ciascuno di essi, a suo modo, sta compiendo la stessa azione.
Pensare.
In un film di Carlo Verdone di qualche anno fa, c’è un dialogo fra il protagonista Ernesto, interpretato dallo stesso Verdone, e Fulvio un conduttore radiofonico, interpretato da Claudio Bisio. Ernesto è un uomo di mezz’età, con un matrimonio noioso ed una vita abitudinaria, che viene sconvolta dall’arrivo di Cecilia, una ragazza molto più giovane di lui, abbandonata dal padre da piccola, e con la quale egli inizia una intensa relazione. In una scena del film, per nascondersi alla vista dei vicini, i due, sulla terrazza di un palazzo popolare, con i fili del bucato e i panni appesi, si nascondono sotto un lenzuolo. Ed ecco perché, tornato infine dalla moglie, Ernesto racconta a Fulvio in diretta radiofonica, la fine della storia:
Fulvio: “No no Ernesto, non mollare adesso eh! Regalaci ancora un’immagine”.
Ernesto: “Ma che ne so Fulvio, che ne so... Io non avevo mai tradito mia moglie e da quel
giorno non l’ho fatto più, però, ogni tanto, quando litighiamo e ho voglia di sentirmi un po’
infedele, vengo qua su in questa terrazza, prendo un lenzuolo e me lo metto in testa, poi
recito quella poesia. ‘C’è la neve nei miei ricordi / c’è sempre la neve / e mi diventa bianco
il cervello / se non la smetto di ricordare’".
Nel film, vediamo Ernesto che si ricopre con il lenzuolo.
Fotogrammi del film “Manuale d’amore 2 – Capitoli successivi”, di Giovanni Veronesi.
Fuori di lui, il mondo continua con le sue rassicuranti abitudini; dentro lo spazio del lenzuolo, Ernesto ricorda la ragazza che ha amato, recitando la poesia da lei composta. I due spazi, separati, esistono entrambi. Ma uno – quello del ricordo, che può esistere soltanto nel pensiero – può a sua volta esistere sol-
tanto sospendendo temporaneamente l’altro (“ogni tanto”). Ernesto, velandosi, sospende la sua esistenza di marito fedele ed entra in risonanza con una parte profonda del pensiero, in cui egli rivive empaticamente il mondo interiore di Cecilia.
Le immagini dunque non illustrano né descrivono il testo omerico. Lo traducono in una diversa grammatica: stare seduti, con le gambe incrociate o avvolti nel mantello sono modi diversi di interrompere l'azione, momentaneamente impossibile, e pensare (o dare conto della propria momentanea inutilità, giocando). Modi diversi non rispetto al grado di integrazione del pensatore nella realtà circostante, ma modi diversi di pensare l’uno rispetto all’altro, nel caso - rarissimo - di pensatori che condividono lo stesso spazio figurativo.
Per concludere: il pensatore solitario e silente, avvolto nel mantello, è separato dalla scena che si svolge intorno a lui, come è separato da un altro pensatore che condivida il suo spazio; altrettanto vale per il pensatore in precario equilibrio, con le gambe incrociate. Entrambi in qualche modo inaccessibili, l’uno invisibile e nascosto dal mantello, l’altro doppiamente “annodato” dall’incrocio delle gambe e delle braccia: Achille e Odisseo sono inaccessibili l’uno all’altro.
Su Odisseo: Nicosia, S. (2003). L'identità di Ulisse. In S. Nicosia (A cura di), Ulisse nel tempo. La metafora infinita. (p. 9-21). Padova: Marsilio.
Sul "re pescatore": Agamben, G. (2009). Il Regno e la Gloria. Per una genealogia teologica dell'economia e del governo. Torino: Bollati Boringhieri
Su kouroi e korai: Fehr, B. (1996). Kouroi e korai. Formule e tipi dell'arte arcaica come espressione di valori. In S. Settis (A cura di), I Greci. Storia cultura arte società. I Greci. 2. Una storia greca. I. Formazione.
Su Achille 'imbacuccato': Franzoni, C. (2006). Tirannia dello sguardo. Corpo, gesto, espressione nell'arte greca. Torino: Einaudi.(p. 785-843). Torino: Einaudi.
Sull'inutilità di Achille:Gilli, G. (1988). Origini dell'uguaglianza. Ricerche sociologiche sull'antica Grecia. Torino: Einaudi.
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