Solo quando ho iniziato a fare ricerca universitaria nel campo della storia antica, ho scoperto che la Bibbia può essere studiata, ed è stata studiata, non solo letta (spesso senza capirla). Letta criticamente. È una tradizione di studi viva soprattutto nel nord Europa, in particolare in Germania, dove la filologia biblica, l'orientalistica e la storia di Israele antico sono discipline saldamente radicate nei curricola universitari.
Io viceversa l'avevo malamente letta - singoli episodi semplificati - per la preparazione alla prima comunione (a sette anni!) e poi certo ascoltata la domenica a messa, nel periodo in cui la frequentavo. Nonostante l'arte, la cultura, il linguaggio che usiamo, i concetti siano intrisi della Bibbia - lo mostra bene un libro come Il dio dei nostri padri, di Aldo Cazzullo - essa mi era estranea. Quando nel 1983 vidi al cinema Yentl, il musical di Barbra Streisand, (tratto dal racconto Yentl The Yeshiva Boy dello scrittore ebreo polacco Isaac Bashevis Singer) la sua ambientazione, i villaggi ebraici, shtetl, dell'Europa orientale oggi totalmente scomparsi, mi era totalmente sconosciuta. L'intera cultura ebraica, antica e moderna: estranea.
Come spesso accade, il caso si è incaricato di spingermi a colmare questa lacuna. In due forme. Entrambe ebbero a che fare con i libri: il primo fu un'edizione economica, un tascabile, acquistato insieme ai quotidiani, quasi per caso, un sabato di sole in un'edicola vicino alla spiaggia di Mondello, dove abito. Era La lista di Schindler. Sicuramente avevo visto il film, (era il 1997 ed il film è di qualche anno prima) e sicuramente conoscevo la storia e avevo letto Primo Levi, ma per qualche motivo quella lettura mi ha incatenato, quelle immagini perseguitato. Iniziando un percorso che ora so essere quello di molti, ho comprato e studiato una gran quantità di libri sulla Shoà, finché ad un certo ho dovuto smettere: quell'orrore penetrava nella mia vita quotidiana, quel peso, quella domanda - come è potuto accadere? - sembravano inestinguibili. Dopo il libro, il film ha avuto un senso diverso, per me.
Alcuni dei miei libri sulla Shoà |
Altri miei libri sulla Shoà |
L'altro libro, anch'esso comprato per caso nei primi anni '2000 è un saggio di Jan Assmann - un egittologo studioso della memoria, morto recentemente, apprendo ora mentre scrivo - dal titolo Potere e salvezza, in cui si parla del legame fra teologia e politica in Grecia, in Egitto e in Israele. Israele? Da lì è iniziato lo studio critico della Bibbia - della storiografia ebraica, della filologia biblica, della storia antica di Israele. Fino al punto che ho pensato di dover imparare l'ebraico antico, cosa rivelatasi impossibile per motivi prettamente logistici (l'unico corso che avevo trovato si svolgeva di sera, abbastanza lontano da casa mia, e in quel periodo i miei figli erano piccoli: impensabile assumere un impegno simile). I motivi per cui la cultura ebraica - pur nella parte che è comune alla cultura cattolica: l'Antico Testamento - è poco familiare, almeno alla mia generazione, sono molti. Il cattolicesimo, a differenza del cristianesimo riformato, ha scoraggiato la lettura diretta, critica dei testi sacri, per privilegiare la lettura confessionale, domenicale. Mediata dal clero. Ciò significa purtroppo banalizzata, edulcorata, appiattita sui topoi dell'omelia che generalmente segue la lettura.
Ma l'altro grande motivo lo dice bene il titolo del libro di David Mendelsohn: Gli scomparsi. La cultura degli shtetl, dei villaggi ebraici dell'Europa orientale, ma anche quella delle comunità ebraiche cittadine è stata annientata, distrutta, sparita dalla faccia della terra. E con essa un patrimonio di modi di vivere, di parlare, di lavorare, di pensare il passato. A Palermo, la mia città, che pure in passato ha avuto una Giudecca, un quartiere ebraico, l'ebraismo contemporaneo è invisibile, quello antico (secoli VI- XV d.C.) bisogna andare a cercarlo, a scovarlo fra le vie del centro storico. Altre città italiane hanno e hanno avuto comunità ebraiche più consistenti e hanno subito le deportazioni durante l'occupazione nazista del 1943/1944.
Per ovviare alla non conoscenza dell'ebraico antico, periodicamente faccio qualche ricerca sull'altra grande lingua della Bibbia: il greco. Con il greco, che insegno e ho faticosamente studiato, mi muovo su un terreno (più) familiare. La Bibbia è stata tradotta in greco in età ellenistica (e poi in latino: la cosiddetta Vulgata). La Settanta, perché 70 furono i saggi chiamati a tradurla e in 70 giorni fecero l'impresa. La Settanta rispecchia una fase importantissima della lingua greca: quando essa, per essere meglio compresa e parlata da un gran numero di persone, si semplifica, perde quelle asprezze morfologiche - il duale, i verbi politematici, alcuni modi disusati - che ne avrebbero reso difficile l'apprendimento per i non madrelingua. Attraverso il greco, si può introdurre a scuola la lettura critica di qualche passo dell'Antico Testamento - la creazione del mondo, il Paradiso e la cacciata, Caino e Abele, il sacrificio di Isacco, Giobbe, la novella di Giuseppe e i suoi fratelli - e indagarne i motivi di continuità e discontinuità con la cultura greca e poi, in generale, occidentale. Sono testi che appartengono a età diverse, di autori diversi e 'generi letterari' diversi. Indispensabile, per cogliere la stratificazione testuale e per ancorare i vari libri, temi, motivi all'ambiente culturale in cui sono stati elaborati è Oltre la Bibbia di Mario Liverani. Il libro è diviso in due parti: nella prima si esplora la storia di Israele antico alla luce delle fonti archeologiche e delle vicende dei grandi imperi coevi, Assiro, Babilonese, Persiani; fonti che documentano insediamenti e modi di vita - e persino religione - ben lontani da quelli raccontati nella Bibbia; la seconda - che si intitola appropriatamente: una storia inventata - cerca di collocare le invenzioni (Esodo, Regno di Davide, Tempio) in un contesto storico verosimile che possa spiegarle. La storia inventata, intorno al nucleo del ritrovamento della Torah sotto Giosia, serve a spiegare gli avvenimenti presenti (conquista, deportazioni, spopolamento di Israele): essi sono il frutto di una colpa, del tradimento di un patto, della dimenticanza. La storia è storia di questa colpa.
Questo modo bipartito di intendere la storia di Israele, frutto appunto di una lettura critica, non filtra purtroppo nei manuali di storia che si usano nelle scuole, dove manca del tutto un discorso sia pure elementare sulla Bibbia come fonte storica e sui problemi che presenta.
Ma, ai miei occhi, quello storico non è l'unico modo per avvicinarsi criticamente alla Bibbia.
La Bibbia infatti è anche la storia delle sue letture e dei suoi lettori. Il contributo che essa ha dato al costituirsi di saperi. Per avere un'idea di cosa si sta dicendo si può pensare all'influenza che la cultura ebraica - oltre naturalmente a quella greca - ha avuto nel pensiero di Sigmund Freud. Di cui è testimonianza il romanzo storico L'uomo Mosè. All'ebraismo di Freud si può arrivare anche tramite Assman, che a Mosè ha dedicato Mosè l'egizio, un saggio sulla memoria di Mosè, e sul rimosso che le pertiene. Il tentativo più organico (secondo le mie conoscenze) di recuperare le radici bibliche della psicoanalisi è quello compiuto di recente da Recalcati nei due libri: La legge del desiderio e La legge della parola. Il primo, che è più recente, a me sembra anche più ispirato. Recalcati sostiene questo: la legge, che è la grande invenzione della cultura ebraica, intesa come legge del Padre, diventa costrizione e formalismo. Gesù è colui che risveglia, mette in movimento, mette in contatto ciascuno con il proprio desiderio. Ogni azione di Gesù è tesa a liberare il desiderio, a riattivarlo. [continua]
Libri su Gesù (e sull'ebraicità di Gesù) |
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