Le Baccanti hanno una storia abbastanza turbolenta, che rispecchia perfettamente il carattere magmatico e problematico del loro contenuto e del dio che ne è protagonista: Dioniso.
Il testo
Tessalonica, intorno al 1310. Nel loro scriptorium, Demetrio Triclinio e il fratello Nicola si alternano nel difficile e paziente lavoro di copiatura di un manoscritto. Verso dopo verso, parola dopo parola, le pagine del voluminoso codice si riempiono delle voci mute di Antigone ed Edipo, di Prometeo e Atossa, di Medea e Penteo. Sei tragedie di Sofocle, tre di Eschilo — la cosiddetta triade bizantina — molto Euripide (ma non tutto quello che vorremmo!), e, in particolare, circa 700 versi della tragedia più controversa del poeta ateniese: le Baccanti. Manca però una parte consistente della tragedia. Questa interruzione non è dovuta a una mutilazione del manoscritto, bensì a una scelta deliberata del suo redattore, che ha lasciato in bianco la parte finale.
Il manoscritto laurenziano: Laur. Plut. 32.9.
Il lavoro del copista era un'attività complessa e impegnativa, che richiedeva non solo abilità manuali ma anche una profonda conoscenza dei testi e delle tecniche di produzione del libro manoscritto. Lunghe giornate seduto al tavolo da lavoro, con la mano destra stretta attorno al calamo. Lunga e meticolosa era la preparazione: la pergamena, ad esempio, poteva presentare imperfezioni che facevano disperare il copista, talvolta costringendolo a rinunciare a intere porzioni di pagina. Prima della scrittura bisognava fare la rigatura, tracciare linee orizzontali e verticali sulla pergamena con strumenti appositi. La copiatura vera e propria era poi un processo che richiedeva grande concentrazione, con difficoltà come cattive rilegature del modello, lacune nel testo o errori pregressi che potevano costringere il copista a cancellare, trasporre o riscrivere intere sequenze di versi. Gli errori erano frequenti, e i margini del manoscritto spesso si riempivano di note, correzioni o versi mancanti.
La suddivisione del lavoro poteva avvenire in vari modi: i copisti si dividevano il modello per fascicoli o si alternavano nella copiatura. Le sottoscrizioni finali, con formule di umiltà o richieste di preghiera, ci offrono uno sguardo sulla personalità di questi artigiani del testo. Non era una semplice riproduzione meccanica: i copisti intervenivano sul testo, migliorandolo o interpretandolo. Alcuni, come Massimo Planude, si occupavano anche della revisione e della creazione di paratesti, segnalando i propri interventi con la notazione ἐμὸς στίχος.
I 700 versi delle Baccanti
Ma su cosa stavano lavorando i fratelli Triclinio? E da dove copiavano le Baccanti? Probabilmente da un libro prezioso, vergato da Eustazio, vescovo di Tessalonica più di un secolo prima, che includeva una selezione scolastica di tragedie di Euripide — la cosiddetta “serie alfabetica”. Tuttavia, in quella selezione non figuravano le Baccanti. Demetrio potrebbe aver avuto accesso a un manoscritto più antico, risalente alla serie alfabetica completa di Euripide, dove ogni tragedia era scritta su un rotolo di papiro e custodita in gruppi di cinque in appositi contenitori. In questo contesto, le Baccanti potrebbero essere state incluse sotto il nome Bákkhai o Pentheus.
Demetrio copia dunque i 700 versi disponibili e confeziona il suo codice. Pochi anni dopo, il manoscritto si trova nelle mani di Barlaam di Seminara, monaco calabrese e diplomatico, che nel 1339 lo porta in Italia. Ad Avignone, Barlaam incontra Francesco Petrarca, che forse ebbe il libro tra le mani e tentò invano di imparare il greco. Più fortuna ebbe Boccaccio, primo poeta italiano a conoscere questa lingua. Quando Barlaam torna in Calabria, come vescovo di Gerace, il codice passa a Simone Atumano, suo successore, che lo arricchisce con glosse e scolii.
La riscoperta della tragedia in Occidente: mappa
Dalla Grecia all'Italia: un manoscritto in viaggio
Il codice approda infine nella biblioteca di Niccolò Niccoli, umanista fiorentino ossessionato dalla ricerca di manoscritti antichi. Dopo la sua morte, passa al convento di San Marco e viene consultato anche da Giano Lascaris, che lo utilizza per un’edizione delle tragedie di Euripide. Nonostante il manoscritto non sia mai appartenuto ai Medici, il Poliziano potrebbe averlo avuto in consultazione
Ma nel frattempo, in che condizioni è il nostro libro? Sballottato da una parte all’altra del Mediterraneo? Su e giù per l’Italia? Prestato, letto, ereditato? La manipolazione frequente poteva causare usura, strappi e perdita di frammenti di pergamena o carta. Le cattive rilegature potevano danneggiare i fogli, causando la perdita di parti di testo o disallineamento delle pagine. I trasporti e gli spostamenti dei manoscritti potevano causare danni fisici, soprattutto nel caso di codici non adeguatamente protetti. La pergamena, sebbene resistente, era un materiale che poteva deteriorarsi a causa di umidità, muffa o usura. In alcuni casi, i manoscritti di lusso erano realizzati con pergamena tinta di porpora, un materiale pregiato ma non immune al deterioramento. La carta, introdotta più tardi, era un materiale meno costoso ma anche meno resistente della pergamena. Poteva essere facilmente danneggiata dall'umidità, dagli insetti o dalla manipolazione. L'umidità era uno dei principali nemici dei manoscritti, causando la formazione di muffe e il deterioramento dell'inchiostro e del supporto. Ma anche le alte temperature e gli sbalzi di temperatura potevano danneggiare la pergamena e l'inchiostro, causando secchezza, screpolature e sbiadimento dei colori. La luce, soprattutto quella solare diretta, poteva causare lo sbiadimento dell'inchiostro e lo scolorimento della pergamena. Ma anche le cancellature e le correzioni ripetute potevano indebolire la pergamena e rendere difficile la lettura del testo. L'inchiostro, se non di buona qualità, poteva corrodere la pergamena o sbiadire nel tempo.
La perdita di fascicoli o di intere sezioni di manoscritto poteva causare lacune e la perdita di parti importanti del testo. Il nostro libro pare che ad un certo punto venisse smembrato in due parti: Teocrito fu staccato e assemblato con altri materiali.
Per salvarlo dalla distruzione, o per facilitare la consultazione, ben presto del nostro libro si fecero diverse copie:
• Almeno due codici Riccardiani e una copia commissionata da Lascaris ad Aristobulo Apostolis ne sono la prova.
• Anche Francesco Filelfo ne trasse una copia nel 1472.
Infine, il codice serve da base per l’edizione aldina curata da Marco Musuro, dove le Baccanti compaiono in forma integrale.
Da dove proviene il testo completo? E in questa le Baccanti sono complete! Da dove origina la presenza delle Baccanti nel loro testo integrale?
La presenza delle Baccanti in forma integrale nelle edizioni a stampa pone l'interrogativo sulla fonte utilizzata per completare il testo mancante. Potrebbe trattarsi di un modello tricliniano "deperditus", ovvero andato perduto. L’unico altro manoscritto che contiene i versi finali delle Baccanti è Il Vaticano Palatino greco 287, anche questo vergato nello scriptorium del Triclinio una delle due parti di un manoscritto smembrato (l’altra parte la possediamo, per fortuna!). Insieme, questi due manoscritti costituiscono un importante testimone per le tragedie di Euripide, in particolare per la cosiddetta "serie alfabetica". Nelle edizioni moderne, i due codici sono indicati con la sigla P.
Ma non sembra sia questa la fonte dell’edizione aldina…
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