lunedì 24 febbraio 2025

Parole per dirlo: la follia

 

I ceramografi attici rappresentavano le parole con le lettere che uscivano dalla bocca dei parlanti in ordine di pronuncia   

Il lessico non è soltanto uno strumento di comunicazione, ma anche una chiave di accesso alla cultura, al pensiero e alla visione del mondo di una società. Le parole non si limitano a designare oggetti o azioni, ma incorporano stratificazioni di significati, riflessi di concezioni religiose, filosofiche e scientifiche.

Comprendere il lessico di una cultura significa dunque entrare nel suo sistema di pensiero, nei suoi schemi interpretativi, nelle sue priorità concettuali.

Questa rubrica si propone di esplorare il significato profondo delle parole, di indagarne le sfumature e il ruolo che esse hanno avuto nel plasmare idee e narrazioni. Perché conoscere le parole significa comprendere il modo in cui, nel tempo, abbiamo dato senso alla realtà.

"Follia" in greco è μανία, da una radice indoeuropea *men. Si tratta di una radice molto prolifica, che produce in tre direzioni, due estreme e una media: agli estremi, da un lato la follia/ira, e la possessione; dall’altro, la tensione-verso, la ricerca. Mentre la furia porta al movimento scomposto e forsennato, la tensione-verso può anche ritorcersi su se stessa, confinando con μάτη e ματάω che denotano una ricerca vana, inutile, e dunque l’essere inutile, inoperoso. La terza direzione porta verso la “forza vitale”. Si tratta – secondo Dodds, I Greci e l'irrazionale – non soltanto di vigore fisico: μένος non è un organo permanente della vita spirituale, come il θύμος o il νόος, è piuttosto uno stato d’animo, che ha a che fare con la volizione. 

Quando un uomo sente il μένος nel petto “ha coscienza di un misterioso accesso di energia; la vita è forte in lui, nuova fiducia e slancio lo invadono”. È significativo che la trasmissione del menos avvenga spesso in esaudimento di una preghiera: esso infatti non è sempre disponibile, va e viene misteriosamente; ma per Omero è l’atto di un dio che lo insuffla nell’uomo, glielo pone in petto, glielo trasmette per contatto. Gli eroi sanno riconoscere l’insorgere del μένος , accompagnato da particolari sensazioni fisiche, dei piedi che “smaniano”, μαιμώωσι, o delle mani, come di un’energia che consente di compiere con facilità cose impossibili.

Questa energia mentale e fisica può anche essere in sovrappiù, squassare e agitare le anime: è il μαίνεσθαι omerico, l'essere preda della follia, come la natura lo è del vento, del fuoco e della tempesta.

La follia si articola, secondo Platone nel Fedro, in 4 ambiti: l'ispirazione profetica, che apre gli occhi della mente al futuro; la follia 'dionisiaca', l'ἐνθουσιασμός che è una forma di incontro con il divino attraverso la musica, la danza, l'arte; la poesia, che fa nascere da dentro la parola in versi e infine la passione erotica, che fa di due anime e due corpi, un solo corpo e una sola anima:

 Socrate (...) Infatti abbiamo dichiarato l'amore come una sorta di pazzia, giusto?"

Fedro: "Sì."

Socrate: "E ci sono due tipi di pazzia: una causata da malattie umane, l'altra da una divina alterazione delle norme consuete."

Fedro: "Assolutamente." 

Socrate: "E di quella divina, abbiamo assegnato  delle quattro parti rispettivamente quattro divinità: ad Apollo l'ispirazione profetica (μαντικὴν... ἐπίπνοιαν), a Dioniso il culto misterico (τελεστικήν) alle Muse la poesia (ποιητικήν), e a Afrodite e Eros la mania erotica (ἐρωτικὴν μανίαν) che abbiamo dichiarato la migliore. 

Nel tardo quinto secolo, tuttavia, si afferma tutto un altro dibattito sulla follia. Non possessione divina, ma malattia. Nel trattato Sulla malattia sacra, compreso nel Corpus Hippocraticum, Ippocrate affronta il tema dell'epilessia e dei suoi sintomi, per mostrare che non si tratta di una malattia 'sacra', causata da una possessione demonica, ma di una malattia naturale, causata da alterazioni cerebrali. Tutte le malattie che hanno sintomi psichiatrici - delirio, angosce, agitazione, depressione, irritabilità - provengono da scompensi di flegma o di bile (gli 'umori' alla base del funzionamento dell'organismo umano, secondo la medicina ippocratica). L'impostazione teorica del trattato segna un cambio radicale di paradigma che colloca i disturbi del comportamento fra le patologie dell'organismo. 

Per esercitarsi nella traduzione dal greco, vedi le versioni a tema: la follia

Tutorial di traduzione: 👉qui su Antica Medicina e 👉 qui: Ancora su Antica medicina

Bigliografia minima:

G. Guidorizzi, Ai confini dell'anima. I greci e la follia, Raffaello Cortina Editore 2009

Per esercitarsi con il lessico della follia 👇

domenica 23 febbraio 2025

La sofferenza del padre: Edipo a Colono e una nuova paternità

La scena finale dell'Edipo re di Robert Carsen, Siracusa 2022

Nei versi finali dell'Edipo re, abbiamo lasciato Edipo prostrato dalla scoperta della sua colpa nelle sciagure della città e dalla natura incestuosa e sacrilega del suo matrimonio e della sua discendenza rivolgersi alle sue figlie per averne sostegno: il re fiero e intelligente è ora un uomo cieco e distrutto. La crisi delle strutture intellettuali che lo avevano sostenuto nella ricerca dell'omicida di Laio e della dimensione civile e poleica del suo impegno di governo erano parallele, nel finale dell'Edipo re, alla crisi dei rapporti padre-figlio e alla valorizzazione dei rapporti padre-figlia. Là il potere, l'eredità, l'ideologia; qua l'affetto, la fisicità e la dedizione.

L'Edipo a Colono inizia naturalmente con questa dimensione nuova di Edipo: vagabondo, cieco, assistito dalla figlia Antigone. Padre e figlia sono solidali nel condurre una vita senza prospettive e senza scopi, senza radici e senza futuro, un puro presente di sussistenza. Una vita nuda.

Il vagabondaggio, la peregrinazione produttrice di sofferenza sono uno dei temi dominanti del prologo: come Odisseo, Edipo è (auto)costretto a vagare: i verbi ἀλάομαι, πλανάομαι - entrambi vagare, errare - e i loro derivati sono presenti con insistenza nella scena iniziale della tragedia. La comunanza nella sofferenza crea un rapporto intimo, profondo fra Edipo e Antigone e, in seguito, Ismene; fatto di abbracci, di mani che si toccano, di tenerezza e dolcezza.


Cratere a calice siceliota, 330 a.C. ca. Attribuito al gruppo di Gibil-Gabib, probabilmente il pittore di Capodarso, Siracusa, Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi.

Il padre, in queste scene disseminate in tutta la tragedia, perde il profilo tradizionale di guida veneranda e capo della famiglia: è un uomo sofferente e bisognoso che non ha da dare niente se non l'affetto e la presenza. Un tema, questo del rapporto padre-figlia, caro ad Euripide sia nelle Fenicie che nelle Baccanti. Ma alla fine della tragedia, il rapporto si inverte: Edipo ora, guidato da Ermes e da Persefone, sa quel che deve fare: nel momento in cui sente che sta per concludersi la sua esistenza egli diventa la guida delle sue figlie e di Teseo (re del luogo in cui è capitato) verso il luogo dove morirà e dove dovrà essere sepolto. Edipo esce di scena - in senso metaforico e letterale - avendo recuperato autonomia e lucidità. La sua morte, che accade fuori scena, è raccontata da un anghelos: egli si spoglia dei suoi cenci squallidi, si fa lavare e rivestire decentemente e rivolge alle figlie le parole più belle che un padre abbia mai detto:

«Figlie mie, in questo giorno vostro padre non è più. 

Scompare ogni cosa di me, né più vi toccherà la pena di nutrirmi: 

ingrata certo, figlie mie, ma una sola parola, affetto, 

cancella ogni pena. Da nessuno avete ricevuto un affetto più intenso 

che da quest'uomo, senza il quale dovrete ormai trascorrere il resto della vita»

(traduzione di Franco Ferrari, in Sofocle. Antigone Edipo re Edipo a Colono, Milano 1987)

Non così fra Edipo e i suoi figli maschi, legati a logiche di potere. Ciò perché "mai i personaggi portanti della tragedia in Sofocle sono legati solidalmente a strutture di potere" (così Di Benedetto, Sofocle 1983, p. 226). Il mondo, per certi versi arcaico in cui i figli di Edipo si contendono il potere ed evocano i legami di sangue, tramonta nell'Edipo a Colono, tragedia complessa e ricca di elementi innovativi. Subentra un altro, che nel genos vede ormai legami di affetto e sensibilità. Anche altri elementi portanti delle strutture ideologiche tradizionali e perfino periclee vengono smontati da Sofocle nell'Edipo a Colono, oltre all'ambizione politica: la polis come contesto naturale e ineliminabile dell'agire umano, Atene come guida morale della grecità, il potere del logos... tutte costruzioni che l'esperienza della malattia, dell'emarginazione, della sofferenza incolpevole rende false e astratte. La vita è vita nuda, fuori da ogni riparo e rifugio che attutisca i colpi del destino e dei mali del mondo.

Bella è infatti non Atene, la sua Acropoli o le sue istituzioni, ma la campagna dell'Attica: Colono,  il demo di cui Sofocle era originario, e in cui giunge - senza averlo cercato, per caso - Edipo cieco accompagnato da Antigone. La scena della tragedia è all'aperto e sul fondo non vi alcun edificio scenico: una strada che va verso Atene, immaginata oltre una delle due eisodoi, i corridoi che immettevano nell'orchestra. L'orchestra in cui si muove il Coro di anziani di Colono, è uno spazio sacro a varie divinità, sul fondo un boschetto verde di alloro, ulivo e vite, sacro alle Eumenidi e inaccessibile all'uomo (Edipo vi è penetrato inconsapevolmente). Qui vi è una pietra su cui Edipo stanco siede a riposare. Diversi sono gli spazi extrascenici evocati dai personaggi: Tebe la cui malevolenza nei confronti di Edipo lo costringe e vagare senza casa, il luogo sacro in cui Edipo si recherà quando sentirà di stare morendo. Uno spazio, quello dell'Edipo a Colono, del tutto de-politicizzato: piante, fiori, animali (uccelli che cantano), rare figure umane. 

È in questo luogo che Edipo sa di dover morire, in modo irrituale, in terra straniera, ma trasfigurato per prodigio. L'anghelos racconta infatti che nel momento della morte non c'era più in Edipo traccia di malattia e di pianto e che egli scomparve alla vista. Ma l'accento non è posto da Sofocle sul carattere eroico della morte di Edipo ma su quello umano del dolore che la sua morte genera nelle figlie, sulla loro disperazione, sulla nostalgia che ora Antigone prova perfino per l'infelicità di prima, quando vagava senza meta, ma era almeno insieme al padre e poteva curarsi di lui. La morte eroica - la tomba di Edipo, sebbene sconosciuta e inaccessibile proteggerà il territorio dell'Attica - non basta. Non può accontentare e non può consolare la sofferenza delle figlie per la perdita non di un re o di un eroe, ma di un padre

sabato 15 febbraio 2025

Il silenzio di Dio e lo scandalo di Giobbe

 Continua da Desiderio, legge e storia: come popoli e individui rinunciano a vivere per non cambiare (su La legge del desiderio di Massimo Recalcati)

Giovan Battista Langetti, Giobbe maledetto da sua moglie, collezione privata


I popoli e gli individui possono chiudersi - come Egitto e Israele sotto la minaccia dell'assimilazione a culture straniere - dentro confini mentali più solidi e impenetrabili dei confini fisici: fortificazioni, mura. La religione, la cultura perdono il loro valore di un aspetto dell'identità e diventano l'identità, in senso enfatico ed intensificato. Così Assmann.

Questo si esprime (può esprimersi) in una ricerca di adesione perfetta, totale, senza residui, alla legge. Nell'illusione securitaria che tale adesione metta al riparo da imprevisti, eventi funesti, sconfitte. Ne Gli scomparsi di Daniel Mendelsohn, un personaggio riflette angosciato che, dall'annientamento della Shoah è potuto accadere che si sia salvato chi non aveva obbedito alle leggi (parliamo di legge sempre nel senso di leggi della religione) e non si sia salvato il giusto, l'obbediente. Il desiderio ne esce oppresso, mortificato: l'uomo religioso perde il contatto con se stesso e con la gioia di realizzare il desiderio.

Ma la Legge non ha questo scopo. È la tesi di Recalcati in La legge della parola. 

Il Dio della Bibbia non è un padre tirannico e oppressivo."La Legge biblica non opera come una mera applicazione normativa di un insieme di regole, non può essere appiattita si di un registro meramente legale-formale" (p.115). Di più: la Legge di Dio non è senza legge. Essa può essere sospesa, Dio può fermare il suo braccio come nel caso del sacrificio di Isacco. 

Che cos'è allora la Legge?

Recalcati analizza vari libri dell'Antico Testamento - da Genesi a Qoelet a Giona - per cercarvi il significato primo della Legge. Essa è anzitutto - Genesi - legge di separazione, taglio della creatura e del creato dal Creatore, taglio interno alle creature: differenti fra loro e differenti da Dio, vincolate al mondo e vincolate a Dio, maschio e femmina, animale e umano, genitori e figli. La trasgressione della Legge - cioè il rifiuto del taglio e della differenza - è annullamento della creatura, pulsione di morte. "È il cuore perverso del desiderio umano: l'obbiettivo è quello di simmetrizzare il rapporto fra l'uomo e Dio - tra il figlio e il padre". La spinta a negare la separazione, ad abolire la vita separata dell'altro - come avviene nel fratricidio - è per Recalcati (con Freud) la rivelazione della dimensione strutturalmente criminogena dell'inconscio. Violenza, invidia e distruttività sono originarie, primarie e precedono la spinta alla dedizione amorosa nella relazione verso l'Altro.

Tiziano, Caino uccide Abele, olio su tela Basilica di Santa Maria della Salute, Venezia


Narcisismo, tracotanza dell'Ego, parricidio sono altrettante declinazioni di queste spinte primarie alla soppressione dell'Altro. E al godimento vano di cui parla l'Ecclesiaste (Qoelet): l'inseguimento idolatrico di ciò che all'uomo manca invece del godimento di ciò che l'uomo ha.

Tutto fila... fino a Giobbe!

Giobbe è lo scandalo dell'Antico Testamento. Infatti le Legge è in questo libro sconcertante Legge senza legge, arbitrio, indifferenza di Dio per le sofferenze dell'innocente. Assenza del padre che, invocato, non si presenta, non argomenta, non giustifica, non spiega. La domanda si sapere di Giobbe, che vuole conoscere il perché della sua sofferenza rimane inevasa: "Giobbe porta la psicoanalisi come arte delle decifrazione a riconoscere i suoi stessi limiti" (p. 209). Esiste un dolore che non è sintomo, che non ha causa, che non è segno. La sofferenza umana resta un mistero insondabile e la vita umana è vita senza tutele. Il male subito è irrelato al bene fatto: il male non è un segno, non è decifrabile né comprensibile. Non c'è dunque ingiustizia della legge: il silenzio di Dio sulla legge è la condizione di esistenza del mondo. Ciò ha il potere liberatorio di svincolarci da una visione solo retributiva della legge, per cui si farebbe il bene per ricevere la salvezza. 

Recalcati parla allora di "scissione della Legge" (il filologo parlerebbe di testi diversi composti in tempi diversi e con visioni diverse della Legge): c'è una Legge che sa sospendersi, che rifiuta ogni integralismo e ogni applicazione meccanica e "senza resto", che è Legge dell'amore e del godimento; e c'è una Legge che condanna all'attesa di essa, che si manifesta come assenza di Legge, anarchia, arbitrio e capriccio o come idolatria della Legge. 

Tuttavia, Giobbe insegna che la scissione della Legge, il limite imposto alla possibilità di decifrare (cioè di attribuire senso al male e al bene) e di conoscere non deve necessariamente aprire la strada al nichilismo disperato dell'uomo contemporaneo. Giobbe accetta di non porsi più la domanda di senso, di non rinunciare a vivere a causa del dolore, di preferire l'imperscrutabilità del mondo creato alla disumanità di una Legge che pretende il dolore umano in cambio della sua salvezza.




mercoledì 12 febbraio 2025

Parole per dirlo: il lutto

 

I ceramografi attici rappresentavano le parole con le lettere che uscivano dalla bocca dei parlanti in ordine di pronuncia   

Il lessico non è soltanto uno strumento di comunicazione, ma anche una chiave di accesso alla cultura, al pensiero e alla visione del mondo di una società. Le parole non si limitano a designare oggetti o azioni, ma incorporano stratificazioni di significati, riflessi di concezioni religiose, filosofiche e scientifiche. 

Ogni lingua organizza l’esperienza in modi specifici, creando distinzioni che possono non esistere altrove. Comprendere il lessico di una cultura significa dunque entrare nel suo sistema di pensiero, nei suoi schemi interpretativi, nelle sue priorità concettuali. 

Questa rubrica si propone di esplorare il significato profondo delle parole, di indagarne le sfumature e il ruolo che esse hanno avuto nel plasmare idee e narrazioni. Perché conoscere le parole significa comprendere il modo in cui, nel tempo, abbiamo dato senso alla realtà. 

 

Ecco delle flashcard sul lutto per esercitarsi nel lessico:



martedì 11 febbraio 2025

Sì, viaggiare!

Per andare da Panormos a Florentia ci volevano 9 giorni! (da Orbis)

 Nel mondo antico si viaggiava.

Più di quanto noi possiamo pensare! E nonostante - a paragone con il comfort dei viaggi moderni - viaggiare fosse costoso, scomodo, pericoloso anche.

Il viaggio - anche con questi ostacoli - era centrale della vita economica, politica e culturale delle civiltà del Mediterraneo e del Vicino Oriente: Micenei e Fenici, prima; Greci e Romani poi. Le fonti letterarie, epigrafiche e archeologiche sono generose di informazioni su motivazioni, modalità e implicazioni di queste esperienze, e permettono di ricostruire un quadro di molteplici interconnessioni tra le diverse società dell'antichità.

Le informazioni sul viaggio nel mondo antico provengono da diverse tipologie di fonti. Le fonti letterarie, come opere storiche, geografiche e poetiche, offrono descrizioni dettagliate degli itinerari e delle esperienze dei viaggiatori. Le iscrizioni epigrafiche forniscono dati concreti su dediche votive, indicazioni stradali e decreti relativi agli spostamenti. I papiri e i documenti amministrativi permettono di ricostruire gli aspetti pratici e burocratici del viaggio, come permessi di transito e costi di trasporto. Le fonti archeologiche, infine, testimoniano la presenza di infrastrutture viarie, porti e stazioni di sosta, rivelando l'organizzazione logistica e la portata delle reti di comunicazione.

Gli spostamenti avvenivano per necessità commerciali, militari, religiose e amministrative. Le rotte marittime collegavano le principali città portuali, facilitando il commercio e la diffusione di manufatti, materie prime e idee. La navigazione, regolata da condizioni stagionali e meteorologiche, seguiva itinerari consolidati, documentati nelle peripli e nelle testimonianze degli storici antichi. Il trasporto terrestre, più lento e costoso, si sviluppava lungo vie carovaniere, strade lastricate e percorsi naturali, come i corsi fluviali. Le infrastrutture viarie, in particolare quelle romane, testimoniano un'organizzazione capillare finalizzata al controllo e alla gestione del territorio.

Il viaggio assumeva anche una valenza culturale e religiosa. Pellegrini si recavano presso santuari per adempiere a voti o consultare oracoli, mentre filosofi e retori viaggiavano per insegnare e apprendere. Gli ambasciatori e gli ufficiali imperiali erano frequentemente impegnati in spostamenti per garantire la stabilità politica e amministrativa. La documentazione epigrafica e papiracea fornisce dati sulle spese di viaggio, sulle difficoltà incontrate e sulle protezioni divine invocate dai viaggiatori.

Le rappresentazioni letterarie offrono prospettive diverse su queste esperienze. Gli autori descrivono i pericoli legati alla pirateria, alle tempeste e ai briganti, ma anche le dinamiche di incontro e scontro tra culture. L'Odissea fornisce un modello narrativo in cui il viaggio è occasione di confronto con l'alterità, mentre i resoconti storici e geografici, come quelli di Erodoto e Strabone, illustrano le conoscenze geografiche e le percezioni dello spazio nel mondo antico. Le iscrizioni su pietra e i papiri attestano la presenza di guide, indicazioni stradali e strutture di accoglienza, come le stazioni di posta e le locande.

L'analisi delle fonti disponibili mostra che il viaggio, pur essendo una necessità per molte categorie di persone, rimaneva spesso un'attività rischiosa e dispendiosa. La documentazione archeologica conferma lo sviluppo di reti di comunicazione e infrastrutture, ma evidenzia anche i limiti tecnici e logistici dell'epoca. Lo studio delle pratiche di viaggio nel mondo antico permette di comprendere le dinamiche di mobilità e interazione culturale, fornendo elementi utili per un'interpretazione più ampia della storia economica e sociale delle civiltà antiche.

Qualche libro sul viaggio e sulle mappe:

Jean-Claude Golvin, Gérard Coulon e Aude Gros de Beler, Viaggio nel mondo antico , LEG Edizioni 2018

Marcello Valente, Storia del mondo antico in 25 esplorazioni, Il Saggiatore 2023

Simon Garfield, Sulle mappe. Il mondo come lo disegniamo" Tea 2018

John Noble Wilford, I signori delle mappe. La storia avventurosa dell'invenzione della cartografia, Garzanti 2020 

Martina Cera, Le mappe raccontano il mondo. Storia della cartografia, dalle prime mappe a quelle dei grandi esploratori Cairo Editore 2022

Risorse digitali:

ORBIS: The Stanford Geospatial Network Model of the Roman World: http://orbis.stanford.edu/
Mapping Greek Lyric: Places, Travel, Geographical Imaginary: https://lyricmappingproject.stanford.edu/
Pelagios: https://pelagios.org/
Pleiades: https://pleiades.stoa.org/
Ancient World Mapping Center: https://awmc.unc.edu/

mercoledì 5 febbraio 2025

L'enigma della sofferenza: l'Elettra di Sofocle

L’allestimento scenografico dell’Elettra nel teatro di Taormina: la casa è una presenza incombente e oscura nella tragedia, in particolare in quelle legate al mito degli Atridi. 

La tragedia greca è tragedia dei rapporti familiari, conflitto nella famiglia: figli contro padri, fratello contro fratello, mogli contro mariti. E viceversa; amori tragici: filiali, fraterni, coniugali ed extraconiugali.

Se le Coefore di Eschilo (Oreste uccide la madre Clitennestra per vendicare l'omicidio del padre Agamennone) erano state la tragedia dell’eredità paterna impossibile e negata – il figlio privato del padre e del posto nel genos e nella comunità aristocratica e agonale – l’Elettra di Sofocle è la tragedia della figlia.

L’Elettra di Sofocle, composta probabilmente intorno al 410 a.C., è una delle tragedie più celebri del drammaturgo ateniese, appartenente al periodo della piena maturità della sua produzione. Questa versione del mito di Elettra si distingue nettamente dalle rielaborazioni di Eschilo e di Euripide. La trama si apre con il ritorno segreto di Oreste ad Argo, accompagnato dal fidato Pilade, per vendicare l’uccisione del padre Agamennone, perpetrata dalla madre Clitemnestra e dal suo amante Egisto. Mentre Oreste elabora il suo piano, Elettra vive in una condizione di estrema umiliazione: oppressa dalla madre, ridotta a una servitù degradante e consumata dall’odio per gli assassini del padre. Il dramma si sviluppa attorno al conflitto interiore e alle interazioni emotivamente cariche tra i personaggi, culminando nel matricidio e nella restaurazione dell’ordine dinastico.

Elettra è il perno emotivo e narrativo del dramma. Il suo dolore impregna l’intera struttura dell’opera. Fin dall’inizio, il suo lutto è una presenza costante e opprimente, un dolore che si trascina dal giorno dell’assassinio di Agamennone e che guida ogni sua azione. La sua condizione di umiliante asservimento è resa con toni di grande intensità, mentre il ricordo del padre e l’odio verso Clitemnestra e Egisto alimentano la sua ossessione per la vendetta. La vendetta è il tema dominante dell’Elettra. La protagonista è consumata da un desiderio irrefrenabile di giustizia, che si manifesta inizialmente nella speranza del ritorno del fratello Oreste. Di fronte all’apparente inazione degli altri, Elettra non esita a progettare un complotto con la sorella Crisotemi e, se necessario, a prendere l’iniziativa personalmente. Questo desiderio la isola emotivamente e la rende incapace di trovare sollievo o conforto.

Il dolore incolmabile diventa una sorta di leitmotiv che unifica le diverse scene e dà al dramma tensione e coesione emotiva. Il riconoscimento col fratello, che avrebbe dato sollievo al dolore di Elettra, viene appositamente rimandato e dilazionato il più possibile, per permettere il dispiegamento del lutto della protagonista. Il momento culminante del dolore è il monologo dell’urna, in cui Elettra esprime il suo tormento dopo aver appreso della presunta morte di Oreste. Questo monologo è una pietra miliare nella storia del teatro, per l’intensità emotiva e la capacità di rivelare le sfumature più profonde del carattere di Elettra. Sofocle lo utilizza per esplorare temi universali a lui cari, come il lutto, la solitudine e la disperazione, facendo di Elettra un personaggio dolente affine a Filottete e a Edipo anziano e cieco.

Un dolore che non si acquieta, che non accetta consolazione, come dimostra il rapporto aspro di Elettra con il Coro che la esorta alla speranza e alla fiducia. È un dolore inutile e che non partorisce alcuna conoscenza, come avveniva in Eschilo.

Per fare in modo che sia Elettra a dominare la scena con la sua personalità esasperata e intransigente, il personaggio di Oreste viene ‘ristrutturato’ da Sofocle nel senso di un abbassamento. L'Oreste di Sofocle è una pallida ombra dell'Oreste che in Eschilo aveva nutrito nobili sentimenti. Ogni sua energia mentale è assorbita dalla preparazione dell'intrigo, e non resta niente di eroico e nobile. Questo serve ovviamente a far risaltare Elettra, così come è dal contrasto con la sorella Crisotemi, remissiva e accomodante, che emerge la determinazione e l’intransigenza di Elettra.

Lascia sconcertati i lettori moderni l’assenza in Elettra di dubbi morali nei confronti del matricidio. Mentre nell'Orestea il conflitto etico è al centro della narrazione, Sofocle sposta l’attenzione sulle dinamiche umane e familiari, riducendo al minimo il ruolo degli dei nella vicenda. Il matricidio compiuto da Oreste con il supporto di Elettra è presentato come un atto necessario per ristabilire l’ordine dinastico. Tuttavia, Sofocle non indugia su sentimenti di rimorso o pentimento e neppure di giubilo o esaltazione.

La vendetta è compiuta e l’ordine è ristabilito senza ulteriori riflessioni etiche.

La realtà, per il razionalista Sofocle, è tragica perché enigmatica: la ‘morale’ degli eventi o una soluzione appagante sono illusioni e costruzioni. La sofferenza umana, fisica specialmente, resta senza un perché. E, più grave, senza un riscatto conoscitivo.

Per approfondire: Elettra

👉 Due libri imprescindibili (anche su) Elettra:

Nicole Loraux, La voce addolorata. Saggio sulla tragedia greca esplora la tragedia greca e la sua funzione politica e sociale.

Eugene O'Neill: Il lutto si addice ad Elettra (Mourning Becomes Electra) è una trilogia teatrale che rielabora la mitologia greca in un contesto americano, esplorando temi di vendetta, incesto e follia familiare.



I quattro corpi di Achille

Se l’eroe dell’Odissea è parso a molti, esegeti e semplici lettori, «eroe dai molti nomi, dalle molte fisionomie dalle molte identità, multi...