sabato 3 maggio 2025


Appunti sull’utopia

L’utopia è un’isola che non c’è, ma non possiamo smettere di cercarla. O almeno, così si è creduto per secoli. Oggi, invece, sono in molti a ritenere che l’utopia non sia più nemmeno pensabile. La parola nasce con il celebre libro di Thomas More del 1516, ma il concetto risale ad almeno duemila anni. Molto prima che l’umanista inglese desse nome e forma alla sua perfetta e irraggiungibile società isolana, i Greci avevano già tracciato i contorni di questo luogo impossibile. E lo avevano fatto, nel dominio della letteratura e della filosofia, con due approcci diversissimi tra loro: la serissima polis ideale del filosofo Platone e le provocatorie e paradossali comunità femminili del commediografo Aristofane.

Platone, nella Repubblica, immagina una città governata dai filosofi, in cui la giustizia coincide con un rigido sistema gerarchico dove ciascuno svolge soltanto la funzione per cui è più adatto. Questo modello, considerato ideale, presuppone l’abolizione della proprietà privata e addirittura della famiglia monogamica per le classi dirigenti, al fine di eliminare ogni conflitto e interesse personale. Tuttavia, Platone è il primo a riconoscere implicitamente che la sua città perfetta esiste soltanto "nelle parole": essa è concepita come modello filosofico e non come progetto politico reale. Aristotele stesso, allievo critico di Platone, ha obiettato nella sua Politica (II 3, 1261b32–35) che l'abolizione della proprietà privata annullerebbe incentivi essenziali alla cura e al progresso, affermando che "ciò che è di tutti, nessuno lo cura con attenzione".

Dall’altra parte dello spettro utopico troviamo Aristofane, che con Lisistrata e Le donne al parlamento propone soluzioni radicalmente opposte. Qui l’utopia è un espediente comico, una lente deformante attraverso cui osservare la società ateniese. Aristofane immagina donne capaci di interrompere guerre insensate tramite scioperi sessuali e di instaurare una completa uguaglianza sociale abolendo proprietà privata e matrimoni tradizionali. Tuttavia, dietro al sorriso grottesco e al paradosso evidente, emergono dubbi profondi sulla reale praticabilità di qualsiasi radicale ribaltamento sociale: nella commedia Le donne al parlamento, infatti, l’utopia egualitaria diventa presto un caotico fallimento, mostrando i limiti intrinseci di qualsiasi cambiamento troppo drastico e immediato. Aristofane usa l'ironia per mostrare che la società perfetta, se realizzata letteralmente, diventerebbe ben presto una farsa.

Quando nel Cinquecento Thomas More riprende queste idee antiche e le trasforma nella celebre isola di Utopia, lo fa consapevolmente. Conosce bene le critiche di Aristotele e l’ironia di Aristofane; sa che sta disegnando una società impossibile. Eppure insiste nel proporla, non per la sua realizzazione pratica, ma per suscitare una riflessione morale, politica e sociale sui difetti e le ingiustizie dell’Europa del suo tempo. Lo stesso More, del resto, sembra non voler fissare definitivamente il significato del termine: la U iniziale può essere letta come negazione (ou-topos, non-luogo) oppure come prefisso positivo (eu-topos, luogo buono). L’ambiguità è strutturale.

L’utopia riflette e nello stesso tempo annuncia una dimensione della storia dove c’è spazio per l’irrealizzabile, l’inattuabile (Mumford). Critica e progetto, in misura di volta in volta differenti, sono i due elementi indispensabili all’utopia, ma il loro rapporto è sempre ambiguo. L’idea di progetto, in particolare, si collega all’idea di futuro: come ha osservato Baczko, le utopie prefigurano un futuro, un avvenire immaginato sulla base dell’esperienza sociale realmente vissuta e criticata. L’invenzione utopistica, nel Settecento, si sviluppa in un orizzonte di attese, in cui la storia viene letta in chiave trasformativa. Ma già nell’antichità il passato forniva un modello: Sparta e Atene diventano modelli assoluti, utopie retroproiettate. È il caso di ciò che Jan Assmann chiama contrappresentismo: l’utopia non guarda sempre avanti, talvolta si rifugia in un passato idealizzato.

Il futuro auspicato dall’utopia, a differenza dei paradisi terrestri o dei paesi della cuccagna, non è relegato in una regione misteriosa e perfetta: anche se non è effettivamente attuabile, esso è costruito intorno a specifiche critiche all’esistente e si fonda su proposte alternative di organizzazione. Tuttavia, ci sono tratti comuni: l’utopia non può realizzarsi se non eliminando la conflittualità generata dal possesso delle ricchezze e dagli impulsi sessuali. Su questo punto, alcuni studi hanno messo in evidenza la distanza tra le utopie antiche, spesso ascetiche, e quelle moderne, che invece presuppongono un’abbondanza resa possibile da un uso equo della tecnologia.

Anche l’eguaglianza assoluta, tema chiave delle utopie moderne, non è pensabile prima dell’età contemporanea: a impedirlo, secondo Iacono, sono almeno tre fattori strutturali. Primo, la scarsità delle risorse disponibili. Secondo, l’assenza di un’idea storica di progresso. Terzo, la piccolezza delle comunità antiche, che consentiva sì una certa coesione, ma impediva di immaginare un’eguaglianza universale e duratura.

Il valore reale di ogni utopia potrebbe non risiedere tanto nel progetto in sé, quanto nella provocazione che esso rappresenta. La storia dell’utopia, dai filosofi e commediografi greci fino agli umanisti rinascimentali e oltre, sembra suggerire proprio questo: che la ricerca di una società perfetta non sia altro che un modo per mettere alla prova le nostre società reali, costringendoci continuamente a guardarle con occhi più lucidi e critici.

Resta dunque aperta la questione se l’utopia sia destinata a restare per sempre irraggiungibile, e se non sia forse proprio questa impossibilità a renderla così necessaria.

Bibliografia essenziale

  • Assmann, Jan. La memoria culturale: scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche. Torino: Einaudi, 1997.

  • Baczko, Bronisław. L'utopia. Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell’età dell’Illuminismo. Torino: Einaudi, 1979.

  • Butti de Lima, Paulo. "Parametri antichi dell’utopia." Revista Polis, vol. 5, n. 2 (2017): 9–25.

  • Iacono, Alfonso M. "Rousseau e l’ingannevole sogno dell’utopia come fine del risentimento." Atque, n. 19 (2015): 141–152.

  • Lauriola, Rosanna. "The Greeks and the Utopia: An Overview Through Ancient Greek Literature." Espaço Acadêmico, 97 (2009): 17–30.

  • Mumford, Lewis. Storia dell’utopia. Milano: Feltrinelli, 2017.

  • Stanford Encyclopedia of Philosophy. "Plato's Utopia." Last revised 2020. https://plato.stanford.edu/entries/plato-utopia/

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