venerdì 11 aprile 2025

Il caso Moro e la storia controfattuale: immaginare un altro futuro

Moro libero, nel finale del film di Bellocchio


Cosa sarebbe successo se Aldo Moro fosse uscito vivo da via Caetani? Se il suo progetto politico fosse andato avanti? Se la storia dell’Italia avesse preso un’altra piega? A immaginare uno scenario diverso sono stati negli ultimi anni due opere che hanno colpito pubblico e critica: la serie Esterno Notte di Marco Bellocchio e il film per la TV Il caso Moro (2022), dove la narrazione si concede, in modi diversi, una deviazione dalla realtà: Moro viene liberato, o comunque sopravvive. 

Una scelta narrativa audace! Cioè: storia controfattuale, quella che prova a ragionare su come sarebbero andate le cose se certi eventi non fossero accaduti o se fossero andati in altro modo. Non è solo un esercizio intellettuale. È anche un modo per dare profondità alla comprensione di ciò che è realmente accaduto, immaginando le strade che non sono state percorse.

Il caso Moro è un bivio storico. Proprio per questo è fonte di interesse anche letterario e non solo storico e documentario. Il progetto politico troncato –  il 'compromesso storico' che mirava a portare insieme la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista – avrebbe potuto sbloccare un’Italia paralizzata dalla guerra fredda, da una conflittualità ideologica asfissiante, da un sistema incapace di evolversi. 

Non è successo. E se fosse accaduto?

Il versante umano della vicenda Bellocchio l'ha indagato con questa prospettiva. E sul piano storico?

A riflettere, con rigore e ampiezza di sguardo, su questa stagione storica è Miguel Gotor, con il suo saggio
Generazione Settanta. Storia del decennio più lungo del secolo breve (1966–1982)
, pubblicato da Einaudi nel 2022. È un libro che tiene insieme molte voci, molti materiali – non solo le fonti classiche, ma anche canzoni, pubblicità, film – per restituire il clima di quegli anni. E lo fa con uno stile che non rinuncia all’analisi, ma resta accessibile anche per chi non è specialista.

Nel ripercorrere gli eventi che hanno condotto all’assassinio di Moro, Gotor mette a fuoco le forze in gioco, i diversi attori politici (nazionali e internazionali), le ambiguità, i silenzi, le resistenze. Uno scavo paziente, che mostra quanto fosse fragile l’equilibrio su cui si reggeva quel tentativo di apertura democratica. E quanto sia costato – in termini politici, culturali, simbolici – il fallimento di quell’apertura.

Il libro non indulge in ipotesi immaginarie, ma lascia spazio al lettore per formulare una domanda inevitabile: se Moro fosse rimasto in vita, cosa sarebbe successo al suo progetto? Proviamo a mettere giù qualche ipotesi:

1. Il rafforzamento della democrazia e della stabilità politica. Se Moro fosse riuscito a concretizzare il suo progetto, è possibile che l'Italia avrebbe vissuto un periodo di maggiore stabilità politica. Il compromesso avrebbe consentito una governabilità più solida, riducendo le fratture politiche e sociali. La collaborazione tra la DC e il PCI, due partiti con ampie basi elettorali ma ideologicamente distanti, avrebbe creato una piattaforma comune che avrebbe potuto alleggerire il peso del conflitto ideologico che caratterizzava gli anni '70. Con un accordo stabile tra questi due partiti, il paese avrebbe probabilmente evitato il periodo di instabilità politica che ha caratterizzato gli anni successivi, caratterizzato da frequenti cambi di governo e da una continua ricerca di maggioranze parlamentari. La pace sociale, che avrebbe potuto derivare da una maggiore cooperazione politica, avrebbe anche ridotto la violenza politica, con la conseguente diminuzione di episodi come quelli legati agli anni di piombo.

2. Il potenziamento della sinistra e la possibile evoluzione del Partito Comunista. Uno degli aspetti più significativi del progetto di Moro era l'inclusione del PCI nel governo, il che avrebbe potuto cambiare profondamente il panorama politico italiano. L'ingresso dei comunisti nella gestione diretta del potere avrebbe dato loro un ruolo chiave nella politica economica e nelle riforme sociali del paese. In un contesto in cui il PCI fosse stato accettato come forza politica di governo, il partito avrebbe probabilmente adottato politiche riformiste, avvicinandosi sempre di più alle pratiche di altri partiti comunisti europei, come quelli francesi o spagnoli. Questa evoluzione avrebbe potuto avere un impatto anche sulle politiche sociali e sulle riforme del welfare, con il PCI impegnato a migliorare le condizioni dei lavoratori e a introdurre leggi più progressiste. Inoltre, la sinistra italiana avrebbe probabilmente trovato una propria collocazione all'interno dell'Europa, rendendo l'Italia un attore più influente nei forum politici e nelle alleanze internazionali, come la Comunità Economica Europea.

3. Le ripercussioni internazionali. Il progetto di Moro avrebbe avuto un'influenza non solo sul piano interno, ma anche sul piano internazionale. Gli Stati Uniti, che avevano sempre temuto l'influenza del PCI in Italia, avevano visto il compromesso storico con una certa preoccupazione. Tuttavia, non si può escludere che Moro e Berlinguer avrebbero trovato il modo per accreditarsi come interlocutori fidati e che un'indagine diplomatica più accurata da parte della diplomazia americana avrebbe portato all'approvazione del PCI come forza politica legittima. Inoltre, la strategia della tensione, che ha avuto come uno degli obiettivi quello di destabilizzare il paese per impedire la crescente influenza del PCI, avrebbe potuto perdere parte della sua efficacia. Se l’Italia avesse potuto essere più stabile politicamente, le forze esterne, in particolare gli Stati Uniti e la NATO, avrebbero potuto ridurre la loro ingerenza nelle questioni interne italiane.

4. La lotta armata e gli anni di piombo. Un altro aspetto da considerare è se il compromesso storico avrebbe ridotto o radicalizzato la violenza politica che ha segnato gli anni '70, soprattutto con il fenomeno della lotta armata. Se la sinistra moderata, rappresentata dal PCI, fosse stata parte integrante del governo, i gruppi estremisti, come le Brigate Rosse, avrebbero perso o guadagnato terreno? Il terrorismo sarebbe stato meno fertile in un contesto di maggiore inclusività politica, dove le istanze di cambiamento sociale e politico trovavano una risposta istituzionale? Forse, un maggior controllo sulla sicurezza interna da parte di un governo più stabile avrebbe potuto ridurre le azioni di violenza e le stragi, creando un ambiente in cui le frustrazioni politiche avrebbero avuto meno terreno fertile per esprimersi con la violenza.

5. La trasformazione della Democrazia Cristiana. Il successo del progetto di Moro avrebbe avuto anche un impatto importante sulla Democrazia Cristiana, che avrebbe dovuto adattarsi alle nuove dinamiche politiche. La DC, in alleanza con il PCI, avrebbe potuto divenire un partito più orientato a riformare il sistema politico e sociale, piuttosto che concentrarsi sulla difesa dello status quo. Questo cambiamento avrebbe potuto portare a una evoluzione ideologica all'interno della DC, con il partito che avrebbe assunto una posizione più moderata e riformista, orientata verso un'ulteriore modernizzazione del paese.

6. Un paese diverso? Se il compromesso storico fosse stato attuato con successo, l’Italia avrebbe potuto vivere un periodo di transizione verso un sistema politico e sociale meno polarizzato. La cooperazione tra la DC e il PCI avrebbe consentito al paese di affrontare in modo più equilibrato le sfide economiche, sociali e politiche, riducendo la violenza politica e le tensioni sociali. Sarebbe stato un passo importante verso un’Italia più unita? meno divisa, con una politica estera più orientata a trovare soluzioni di compromesso e dialogo, sia all’interno che a livello internazionale.

Maggiore inclusione del PCI nel sistema, raffreddamento della tensione interna, forse un’Italia meno incline alla delegittimazione reciproca. 

O forse no. Ma resta il fatto che la sua morte ha chiuso una possibilità, e aperto un tempo nuovo – più cupo, più duro.


venerdì 4 aprile 2025

Se Sparta fosse stata più audace...


Nella tarda estate del 411 a.C., in un clima di paura e di confusione generato dal colpo di stato oligarchico, giunse ad Atene la notizia della disfatta della flotta inviata ad Eretria al comando dallo stratego Timocare: ventidue delle trentasei navi ateniesi erano state catturate dai Peloponnesiaci e i loro equipaggi uccisi, altri Ateniesi erano stati ammazzati dagli Eretriesi, i restanti erano stati catturati, in pochi si erano salvati giungendo a Calcide o rifugiandosi nel fortino ateniese di Eretria: tutta l'Eubea, tranne Oreo, fu indotta alla ribellione dagli Spartani.

La sconfitta, com'era naturale data la centralità dell'Eubea nel sistema di approvvigionamenti di Atene, produsse imme­diatamente un enorme spavento; più grande, a detta di Tucidide, dello sgomento provocato dal disastro in Sicilia: si temeva infatti che gli Spartani ponessero l'assedio ad Atene stessa o che, ormeggiatisi contro, inducessero gli alleati ad accorrere in aiuto, lasciando incustodite le loro poleis. Cosa che avrebbe reso tutto l'impero una facile preda per i nemici. 

Ma la previsione non si verificò. Gli Spartani non si mossero.

"Se i nemici - osserva acuto e caustico Tucidide - dopo aver ottenuto la vittoria, avessero osato dirigersi immediatamente verso il Pireo, che era privo di navi, dal momento che non se ne prevedeva la presenza, avrebbero fatto ciò con facilità se fossero stati più audaci, e avrebbero o ulteriormente diviso la città assediandola, oppure, se fossero rimasti a stringerla d'assedio, avrebbero costretto le navi provenienti da Ionia, benché ostili agli oligarchi, a soccorrere i loro stessi compatrioti e l'intera città. E in tal caso avrebbero avuto l'Ellesponto, la Ionia, le isole, il territorio fino all'Eubea e, per così dire, l'intero dominio ateniese. Per gli Ateniesi, i Lacedemoni furono fra tutti i nemici più utili contro cui combattere, anche in molte altre occasioni: essendo infatti assai diversi nel carattere, veloci i primi, lenti i secondi, gli uni temerari gli altri privi di iniziativa, furono di gran giovamento soprattutto all'impero marittimo".

La storiografia greca, inclusa quella di Tucidide, presenta spesso aperture alla storia virtuale attraverso ipotesi controfattuali: Tucidide spesso collega le riflessioni controfattuali alle speranze, alle aspettative, ma soprattutto agli indugi e alle paure dei protagonisti. In questo contesto, l'incapacità spartana di agire decisivamente nel 411 potrebbe essere vista come un "indugio" con conseguenze storiche significative.

Tucidide si chiede dunque: cosa sarebbe successo se gli Spartani avessero colto appieno, con audacia, l'opportunità nel 411 a.C.? 

In un momento di instabilità politica ad Atene, segnato dal colpo di stato dei Quattrocento, un'azione militare spartana decisa e tempestiva avrebbe potuto infliggere un colpo mortale ad Atene. La flotta, che era in maggioranza democratica e che si trovava di stanza a Samo, era riluttante a riconoscere il nuovo governo oligarchico. Se gli Spartani avessero attaccato in quel frangente, avrebbero potuto sfruttare la divisione interna ateniese e la potenziale mancanza di coordinamento tra le forze navali e la città. 

Una vittoria spartana nel 411 avrebbe accorciato avuto importanti riflessi sia nella politica interna che nel contesto internazionale: sul fronte interno, la restaurazione della democrazia, che in effetti avvenne successivamente, sarebbe potuta essere più difficile o addirittura impossibile. Una sconfitta precoce avrebbe potuto consolidare un regime oligarchico filo-spartano ad Atene. 

Ma la conclusione anticipata della guerra avrebbe portato a un diverso equilibrio di potere nel mondo greco. Sparta avrebbe consolidato la sua egemonia molto prima, e la successiva storia del IV secolo a.C., con l'ascesa di Tebe e il regno di Filippo II di Macedonia, avrebbe potuto prendere una piega differente. 

Il fatto che gli Spartani non abbiano agito in modo decisivo nel 411 e abbiano continuato una guerra logorante - paradossalmente - potrebbe aver permesso ad Atene di riprendersi e, in ultima analisi, di non essere completamente annientata. In questo senso, la loro "utilità" come nemici è evidente nel fatto di non aver inflitto il colpo di grazia in un momento di vulnerabilità ateniese, permettendo una successiva, seppur travagliata, ripresa.

Tucidide usa spesso il ragionamento controfattuale per evidenziare l'importanza delle decisioni (o delle mancate decisioni) dei leader e le responsabilità morali e politiche. L'indugio spartano nel 411, analizzato in chiave controfattuale, mette in luce la mancanza di lungimiranza o di capacità di cogliere il momento opportuno da parte della leadership spartana; ma non si può escludere che lo sviluppo dell'idea controfattuale di una precoce vittoria degli Spartani possa servire a coinvolgere il lettore a livello emozionale, creando sollievo per una soluzione peggiore evitata o rimpianto per un'occasione perduta,  consapevolezza della precarietà degli eventi storici e dell'importanza delle scelte in momenti critici.

Bibliografia:

Robert Cowley, La Storia fatta con i Se. Se Napoleone avesse vinto a Waterloo e altri eventi che avrebbero potuto cambiare il mondo, BUR, Milano 2001, traduzione dell'edizione originale in inglese What If? The World’s Most Foremost Military Historians Imagine, Putnam, New York 1999.

Niall Ferguson, Virtual History. Alternative and Counterfactual, Basic Books, New York 1997 (ristampato nel 2011 per Penguin Books). Questa opera è considerata fondamentale sulla storia virtuale e il pensiero controfattuale.

Richard J. Evans, Altered Pasts: Counterfactuals in History, Little, Brown, London 2016.

V. Balestra, Origini dell’ucronia. La letteratura contro la storia, Bologna 2013 (Diss.).

K. Bassi, Spatial Contingencies in Thucydides’ History, ClAnt 26 (2007), 171-218.

E. Bianco, Craintes, espoirs et conseils: essais pour une histoire alternative chez Thucydide, in A. Grandazzi - A. Queyrel Bottineau (éds.), Antiques uchronies. Quand Grecs et Romains imaginent des histoires alternatives, Dijon 2018, 81-93.

E. Bianco, Alcibiade e la storia virtuale, in E. Dimauro (a cura di), Μεταβολή. Studi di Storia antica offerti a Umberto Bultrighini, Chieti, in corso di stampa.

S. Flory, Thucydides and the Ancient Simplicity: The Limits of Political Realism, in Classical Antiquity, 7 (1988), pp. 1-16.

M. Hau, Lucid Hindsight. The Historian as Judge in Herodotus, Thucydides, and Xenophon, Cambridge 2013.

T. Ponchon, La virtualisation du passé chez Thucydide, in A. Grandazzi - A. Queyrel Bottineau (éds.), Antiques uchronies. Quand Grecs et Romains imaginent des histoires alternatives, Dijon 2018, 95-109.

R. Tordoff, Counterfactual Thinking and World Politics: Social Science Perspectives, in European Journal of International Relations, 20 (2014), pp. 105-127.

J. Grethlein, Experience and Teleology in Ancient Historiography. From Herodotus to Augustine, Cambridge 2013.


I quattro corpi di Achille

Se l’eroe dell’Odissea è parso a molti, esegeti e semplici lettori, «eroe dai molti nomi, dalle molte fisionomie dalle molte identità, multi...